[…] Per quale motivo allora si cerca di mantenere viva la psicanalisi? È a chi rivolge una domanda a uno specialista della salute mentale o a uno psicoterapeuta impegnato a ristabilire un ben-essere perturbato dai rischi dell’esistenza, che lo psicanalista fa la sua offerta? O questa offerta consiste precisamente nel non piegarsi ad accogliere una simile domanda? Su tale questione è decisivo, in effetti, fare chiarezza piuttosto che fare il competente. È giocando sull’equivoco, salvo adoperarsi per toglierlo di mezzo nel corso di ciò che chiamava ancora una “cura”, che Freud ha dovuto mimetizzare la psicanalisi da discorso medico che cura la psicopatologia, mentre si trattava per lui di offrire a un soggetto la possibilità d’impegnarsi nel dire, senza pensarci su e come di getto, le parole che gli passano per la testa. Ebbene, ciò che per mezzo di questa pratica del linguaggio si ottiene, non è affatto la sottomissione passiva a una cura, ma la decisione di considerarsi responsabile della propria sofferenza e di volerci capire qualcosa, impiegando altri mezzi dai trattamenti che ricorrono ai farmaci o ai buoni consigli. Uno psicanalista non è né medico né prete, scriveva Freud al pastore Pfister. Oggi è giunto il momento di fare un passo in più e di gettare la maschera. Se la maggior parte dei governi europei, a causa del disagio sempre più generalizzato prodotto da una civiltà tecnocratica che non sa offrire se non vantaggi materiali, impone ai cittadini un’offerta psicoterapeutica altrettanto generalizzata, allora non possiamo più esimerci dal reclamare la nostra differenza. Se i governi, per perseguire il loro scopo, intendono legiferare nel campo della psicologia, regolamentando il titolo di psicoterapeuta così come l’applicazione dei metodi della psicoterapia, non possiamo più sottrarci dal proclamare chiaro e forte che la quintessenza della psicanalisi non ha niente a che fare con la medicina né con la sanità, e che di conseguenza la psicanalisi non accetta di essere regolamentata giuridicamente o di essere riconosciuta dallo Stato. Considerata la società di controllo in cui viviamo, e l’inevitabilità che anche gli psicanalisti siano sottomessi a un controllo a cui niente e nessuno può e deve sfuggire, se è dunque necessario imporgli uno statuto a qualunque costo, non è dal Ministero della salute né dal Ministero della pubblica istruzione che essi dovrebbero dipendere, ma dal Ministero della Cultura, alla stregua degli scrittori, degli attori, dei pittori, dei musicisti. Gli psicanalisti si dedicano a una ricerca che è solo affine alla Scienza o alla Filosofia, dato che concerne piuttosto una certa Sapienza (Sagesse), perché non possono promettere i risultati prevedibili e misurabili che ci si attende dall’applicazione di una tecnica. Possono solo offrire delle regole – a cui loro stessi si attengono e che non cessano di rielaborare – ai loro co- siddetti “analizzanti”, i quali, applicandole, hanno la possibilità di avere più direttamente e specificamente a che fare con quegli effetti dell’inconscio che fanno zoppicare la loro vita [...].
Brano estratto da: Jacques Nassif - Gli psicanalisti non sono dei professionisti competenti (Tit.orig.: Les psychoanalystes ne sont pas des clercs, trad. M.Manghi)
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