lunedì 26 giugno 2017

La Peste



Diciamo subito che il titolo non allude all'omonimo romanzo di Camus, ma al noto episodio in cui Freud, in viaggio per gli Stati Uniti, parlando con l'allora suo discepolo Jung lasciò trapelare un intenzione tutt'altro che pacifica verso il popolo americano...
Risale infatti al 1909 il viaggio di Freud in America, condiviso coi seguaci Jung e Ferenczi a bordo del piroscafo G.Washington. Ad invitarlo negli 'States' sopra tutti G. Stanley Hall, psicologo e presidente della Clark University nel Massachussets, nelle cui intenzioni era la diffusione del 'verbo' psicoanalitico nel nuovo continente. Fu poco prima di sbarcare che Freud stesso – con la sua acuta ironia unita ad una superiore perspicacia in termini di conoscenza dell'indole del popolo americano, che non stimava particolarmente – confidandosi con Jung disse, non senza un intento eversivo, che in realtà 'stavano portando loro la peste', intendendo con ciò che il metodo psicoanalitico avrebbe introdotto il virus di una visione della realtà basata sulla complessità, sull'alterità, sul dubbio – in sostanza sulla subalternità della coscienza all'inconscio – in una Paese già fortemente orientato in senso capitalista e incardinato sui parametri dell'utilitarismo pragmatico, dell'ottimismo aprioristico e narcisista, del mito della frontiera adattato in chiave espansionistica e commerciale (con le conseguenze che tutti conosciamo, a partire da quel tragico e sempre rimosso peccato originale, il genocidio dei nativi americani).
Nonostante la buona accoglienza complessiva da parte di uomini di scienza e di cultura, della stampa e del pubblico, l'esperienza non si rivelò il successo che soprattutto molti della vecchia guardia freudiana avevano pronosticato. Basti pensare che William James, psicologo americano autore nel 1890 del fortunato Principles of Psychology, di impostazione funzionalista-pragmatista, dopo aver conosciuto Freud scrisse: “Confesso che mi ha fatto personalmente l'impressione di un uomo ossessionato da idee fisse. Non posso fare niente nel mio caso con le sue teorie dei sogni e ovviamente il 'simbolismo' è un metodo alquanto pericoloso”.
Piuttosto, nell'ambiente americano si ingenerò una sorta di reazione anticorpale che finì per assorbire prima il potenziale virale della nuova scienza della psiche e poi per snaturarla trasformandola in una versione psicoanalitica riveduta e corretta assoggettata alla centralità del sistema dell'Io (la 'Psicologia dell'Io', appunto, propugnata soprattutto da Hartmann, Rapaport ed altri. Lo stesso Lacan, nella sua rilettura di Freud degli anni '50, scrisse pagine di fuoco contro questa che considerava una deriva del pensiero freudiano). In altri termini, il potenziale eversivo del messaggio freudiano centrato sullo statuto primario dell'inconscio nel sistema psichico venne abilmente ridimensionato, grazie anche alle contingenze storico-politiche che consentirono negli Stati Uniti, nel ventennio tra le due guerre mondiali, il passaggio da una economia di sussistenza ad una economia di consumo, che sfocerà nella società consumistica degli anni 'Cinquanta sottoposta al regime di iperproduzione industriale, modello presto esportato su scala planetaria dalla vincente potenza Usa. Ma soprattutto è il cambiamento intervenuto a livello dell'immaginario, sorretto dalla invenzione di una pubblicità mirata e onnipervasiva, a determinare una vera e propria mutazione antropologica modificando la stessa esperienza del piacere psichico: il piacere non è più dato dal soddisfacimento di un bisogno, o dalla realizzazione di un desiderio, ma dalla realizzazione di un desiderio 'attraverso' l’acquisto di un prodotto, proposto-imposto dalle logiche industriali. Queste 'strategie del desiderio', pianificate a tavolino dai professionisti della vendita (tra i quali gli psicologi non hanno mai mancato di dare il loro prezioso contributo) hanno negli ultimi 70 anni a tal punto cambiato l'esperienza del nostro quotidiano da introdurre una vera e propria 'etica' del consumo, dove tutto in sostanza viene decodificato in termini di acquisto (tutto è in vendita, tutto si può comprare) e immesso nella sequenza input-desiderio-acquisto-gratificazione (quest'ultima assai breve, secondo uno schema collaudato in cui il prodotto e quindi il desiderio corrispondente devono essere presto rinnovati e condurre ad un nuovo acquisto che rilancia il ciclo praticamente all'infinito). Come tutto ciò poi agisca a livello dei processi di strutturazione dell'identità soggettiva, di relazione e di socializzazione apre un ambito di riflessioni che inquadra uno scenario non futuro, ma presente ormai nella realtà del mondo globalizzato, dai risvolti a dir poco inquietanti.
D'altra parte, l'assedio quotidiano dei media alle nostre menti, con il suo carico ingestibile e indigeribile di morte, violenza, distruzioni e ingiustizie ha originato un' alterazione della genetica psichica del nostro approccio alla vita che si risolve solitamente in uno sterile atto di compunzione ed una meccanica alzata di spalle, aventi la funzione di regolare il transito delle sempre ultimissime “news” senza che intacchi oltre la superficie delle cose e possa così venire evacuata in tempi rapidi, mantenendo aperto lo spazio di ricezione per quelle che a breve seguiranno. In breve, all'etica del consumismo illimitato si è via via affiancata, con un effetto amplificante assai potente e reattivo rispetto alle dinamiche , quella della deresponsabilizzazione sistematica, dell'edonismo sfrenato, della fuga dalla realtà (consumo di droghe e alcol ai livelli massimi, ma anche ideologie deliranti che promettono 72 vergini nell'aldilà a chi ammazza un congruo numero di infedeli). Il 'libera nos a malo' – dovunque e comunque – oggi infatti non fa solo parte dello strascico di un certo corredo religioso occidentale, ma sempre più inteso laicamente come posizione aprioristica del pensiero globalizzato postmoderno, un ingenuo ma pervicace atteggiamento mentale di purificato edonismo, ramificato ed esteso a tutti gli aspetti del quotidiano e che è divenuto il leit motiv dell'uomo contemporaneo e cardine della sua prassi esistenziale, costretta a schivare le innumerevoli minacce cresciute in una società globale ormai molto prossima al collasso (non solo ecologico, come vediamo). In un simile scenario complessivo, anche il discorso sulle forme di intervento psicologico ha risentito negli ultimi decenni di una profonda trasformazione, divaricandosi sempre più in un approccio 'esperienziale-conoscitivo', sulla linea dell'ideale psicoanalitico, ed in uno 'pratico-curativo', secondo un'impostazione più propriamente psicoterapeutica, sempre più variegata in una moltitudine di approcci più o meno differenziati ma comunque sempre più declinati nel senso di offrire un surrogato, quindi una gratificazione sostitutiva, al desiderio: migliore gestione – o talora 'scomparsa'(!) – dei propri sintomi, miglior adattamento a contesti famigliari, sociali, lavorativi, aumentata sensazione di 'benessere', etc.. In sintesi, diremmo cioè che laddove le varie psicoterapie perseguono l'ideale della 'guarigione dalla malattia' (o più spesso dal sintomo, inteso sostanzialmente quale deviazione e degenerazione di uno stato di presunta normalità) e del 'benessere' come livellamento a regola o norma sociale, la psicoanalisi si pone invece in termini di conoscenza, di 'sapere su' quel singolo individuo, unico, irripetibile, la cui vita è un unicum di vissuti e fantasie non sovrapponibili a quelle di qualsiasi altro. Sapere psicoanalitico, inoltre, che sa che 'il male' e la malattia sono aspetti del vitale e in quanto tali connaturati con l'esperienza di 'essere un essere umano', e dove 'il sintomo' non è visto come l'ostacolo allo stare bene con se stessi o con gli altri, bensì come la porta per accedere ad un discorso di verità, cioè di maggiore conoscenza su e di sé stessi. E questo in quanto il discrimine fondamentale tra i due approcci risiede proprio nella diversa ottica con cui osservare il soggetto: l'individuo con le sue peculiarità, la sua storia, i suoi legami, la sua esperienza soggettiva di essere nel mondo, oppure l'individuo la cui mente assomiglia ad un elaboratore di informazioni, in cui allo stimolo segue necessariamente 'la' risposta e che valuta sé stesso, gli altri e il mondo – almeno ipoteticamente – in modo sempre razionale, logico e consequenziale. Ma è probabilmente soprattutto rispetto ad una specifica dimensione che le strade degli approcci 'analitici' e 'cognitivi' divergono inesorabilmente; quella che si riferisce alla centralità dell'esperienza di un'alterità soggettiva, di quell' “essere stranieri a sé stessi” – in sostanza al riconoscimento e ridimensionamento del proprio sistema Io-Coscienza tanto caro a tutto il pensiero occidentale – che Freud seppe legare mirabilmente al concetto stesso di Inconscio costruendoci sopra tutto l'edificio psicoanalitico. Potremmo allora dire che l'intenzione di diffondere 'la peste' di una certa visione dell'uomo ha avuto successo solo in quanto fenomeno culturale (a proposito, Woody Allen continua ad andare dallo psicoanalista..?), trovando nella realtà capitalistica e consumistica del nuovo mondo occidentale una insormontabile barriera i cui anticorpi hanno svolto in modo eccellente il loro programma genetico: trasformare il desiderio umano in prodotto seriale e creare la nuova etica del consumo-ergo-sum, impedendo di conseguenza il pensiero critico e facendo assurgere il progresso scientifico-tecnologico a unica indiscussa divinità suprema. Ma la psicoanalisi ha questo dalla sua: sa prendersi carico e parlare delle miserie dell'uomo, delle sue paure, dei suoi desideri, delle sue speranze, senza doversi sentire in obbligo di offrirgli una qualche ricompensa o gratificazione immediata per lenire le sue ferite, poiché questa è già racchiusa nel raggiungimento di una migliore conoscenza di sé.