martedì 25 agosto 2009

Siamo un dialogo



La psicoanalisi è mutevole. Non solo intrinsecamente, nella propria essenza di apparato teorico e culturale, soggetto a continui sviluppi, arricchimenti, ravvedimenti, abiure, da quando Freud ebbe l'idea di far stendere qualcuno su un lettino per ascoltarne parole e silenzi. Ma anche nella prassi che ne segue, nel quotidiano operare del terapeuta che traduce nel rapporto col paziente tale mutevolezza 'ontologica' e che incarna le sempre più numerose 'correnti teoriche' (e metodologiche) di cui la psicoanalisi è oggi espressione.
E' questa particolarità anzi che ne fa un qualcosa di vivo, un discorso sempre aperto e in continua espansione, un universo infinito dove il Tempo rappresenta tuttavia l'elemento centrale del processo, con le sue infinite ripetizioni e variazioni su tema.
Per definizione, la psicoanalisi è un processo trasformativo che trae la propria ragione d'essere, la propria linfa vitale, nonché la sua giustificazione concettuale, dal cambiamento, o meglio dal Cambiamento; desiderato, cercato, atteso, forse solo sperato, comunque mitizzato ed inteso quale causa e meta dello sviluppo psicologico individuale e collettivo. Ma se il Cambiamento è il propulsore del 'meccanismo' analitico, esso viene invece perseguito-inseguito dagli 'attori' analitici (T e P) mediante lo strumento del Dialogo.
La parola dialogo deriva dal greco ed è composta da due elementi: dia e logos. Logos sta per 'parola', 'significato', ed in extenso per 'ragione'. Dia invece significa in mezzo a, o metà a metà. Quindi 'dia-logos' vuol dire che il senso, il significato, emergono dal rapporto, dalla relazione di senso che si stabilisce tra gli attori-agenti, e non appannaggio dell'uno o dell'altro.
Il senso allora è un 'logos condiviso' (e/o condivisibile, ma qui il discorso si farebbe più complesso1..) ed è espressione di una alterità. Il significato, o i significati, di cui siamo in perenne ricerca, emergono dunque dal rapporto, nello scambio della dimensione intersoggettiva. E solo in esso, verrebbe da aggiungere, pena la riduzione dell'orizzonte dialogico condiviso ad una solipsistica affabulazione dell'Io se-dicente, ad una autarchica affermazione del soggetto (il 'supposto sapere' lacaniano, ad esempio, declinabile nella posizione non solo del terapeuta ma anche, in alternanza, in quella del paziente, che restringe così la propria esistenza consegnandola alla nevrosi).
Gli attori della scena analitica costruiscono-decostruiscono-ricostruiscono giorno dopo giorno lungo il tragitto terapeutico il senso del mondo (privato e condiviso), a partire da quegli elementi soggettivi di entrambi che possono essere accostati in una visione d'insieme. Il Cambiamento è allora insito nella possibilità di far convivere tali differenti elementi di base affinchè producano nuove prospettive e nuovi scenari per la mente.
La 'ontologica' mutevolezza della psicoanalisi ci ricorda sempre, e questo è forse il suo più prezioso contributo, che 'siamo un dialogo'.

F.Maddalena


1 Nel senso di 'aperto potenzialmente' alla condivisione, ma non 'necessariamente'..