giovedì 20 gennaio 2011

Prima delle parole




Prima nasce il bambino, solo molto tempo dopo nascono le sue parole.Questa consequenzialità
ci ricorda come sia esteso il periodo temporale che divide la nascita fisiologica dell'individuo da quella psicologica e al contempo quanto in-dicibile sia contenuto in quel piccolo universo compreso tra gestazione e primi anni di vita.
Se è vero che l'attenzione rigorosa alla parola in qualità di medium è un tratto peculiare della pratica psicoanalitica, è vero altresì che esiste un universo di segni non verbali la cui funzione espressiva è di primaria importanza per la comprensione del mondo interno di un individuo. Le varie forme di espressione somatica delle emozioni, la prossemica, la cosiddetta comunicazione del corpo (il 'body language' della cultura anglosassone) ne rappresentano le modalità più conosciute in quanto facilmente riscontrabili da chiunque presti un'attenzione più focalizzata a certi aspetti esteriori dell'altro.
Vi sono però anche altre forme di comunicazione tra le persone cui la psicoanalisi ha da sempre dedicato ampio spazio, nella teoria come nella pratica, che rimangono confinate all'interno di un discorso più propriamente tecnico-conoscitivo, oltre che ovviamente in quello strettamente professionale. Esse fanno parte cioè di un sapere ristretto alla cerchia di cultori e studiosi del campo, anche se per alcune – come è il caso del 'transfert' – c'è stata, fin dall'inizio, una certa notorietà, dovuta sicuramente all'importanza centrale del concetto all'interno della concezione teorica psicoanalitica. Già meno noto al 'pubblico', infatti, è il concetto di 'contro-transfert' (di cui però si può intuitivamente ipotizzare che sia qualcosa che ha a che fare col terapeuta più che col paziente, e in una modalità 'reattiva' rispetto al transfert). Oggi è tuttavia comune ascoltare persone che mai sono state in analisi (e che probabilmente mai vorrebbero trovarcisi!) parlare di rimosso e di rimozione in senso propriamente psicologico, come qualcosa relativo cioè al nascondere alla propria consapevolezza, al mettere da parte e non considerare (volutamente o meno).
Al di là di questo primo ambito di pubblicizzazione, che come vediamo coincide ormai con una certa cultura di base globalmente intesa, permane invece un retroterra concettuale che potremmo definire specialistico, paragonabile per certi versi alle varie terminologie delle scienze mediche, o ingegneristiche, o informatiche, che costituisce una sorta di linguaggio codificato della propria branca (scientifica o non) di appartenenza.Termini allora come 'proiezione', 'identificazione proiettiva', 'empatia', 'reverie', 'holding', 'fiducia di base', 'acting' ('out' e 'in') o 'enactment' etc., rappresentano dinamiche psichiche ben definite nella teoria psicoanalitica che caratterizzano modalità di interazione primitiva tra parti nascenti dell'unità sé/oggetto e tra soggetto e mondo esterno poi.
Queste costruzioni concettuali individuano infatti movimenti psicologici profondi di natura affettiva ed emotiva che, non essendo supportati dal codice simbolico della parola, possono venire espressi e compresi solo sulla base di una reciprocità percettiva, affettiva e sensoriale tra paziente e terapeuta all'interno di più ampie configurazioni di interazione, in una processualità solitamente inconscia che solo a maturazione consente al terapeuta di comprendere, riconoscere e quindi verbalizzare quanto sta avvenendo 'in profondità' nel rapporto col paziente.
In questa operazione di trasformazione da una comune matrice percettiva-sensoriale alla possibilità di codificazione linguistica – e quindi di condivisione sul piano verbale di un contenuto tra i due – si riattualizza (o a volte si realizza ex-novo) in realtà l'intero passaggio dalla dimensione pre-simbolica a quella simbolica del rapporto dell'individuo con se stesso prima e con l'altro poi, in una circolarità fondante la capacità stessa di stabilire relazioni significative con parti del sé e con l'altro-da-sè.
In questo senso l'attenzione si sposta allora dal 'che cosa' viene detto in seduta, quindi dal contenuto verbale manifesto o latente del paziente rispetto al proprio universo vissuto, esperienziale e percettivo, al 'come', cioè alla particolare modalità di espressione di contenuti interni variamente mentalizzati che esula dal contesto della verbalizzazione diretta e si esprime invece attraverso la sollecitazione di quella dimensione di rapporto intra- ed inter-personale in cui si evidenziano forme prototipiche di espressione e comunicazione.
Questo 'proto-linguaggio' viene recepito per mezzo di elementari processi di natura affettiva che riattualizzano modalità primarie di rapporto, come quello tra madre e neonato, in cui lo scambio di informazioni tra i due avviene interamente a livello extralinguistico. Qui infatti sono altri i canali coinvolti nell'interazione duale e li possiamo individuare innanzitutto nella dimensione corporea dei cinque sensi, quindi nella rete associativa (neurale e mnestica) che si sviluppa a partire dalle prime esperienze di rapporto con l'altro. Inoltre, sappiamo quanto sia fondamentale il ruolo della pelle quale primo contenitore delle prime esperienze somato-psichiche, ancor prima della comparsa di un vero e proprio contenitore psichico-mentale che possa funzionare nell'ordine della rappresentazione, così come in precedenza il ruolo connettivo del cordone ombelicale tra utero materno e feto, che si fa carico di un travaso di 'informazioni' (intese queste nel senso ampio di sostanze vitali concrete ed elementi sensoriali) tra l'uno e l'altro che rimangono incistate in una memoria del corpo destinata a sopravvivere alle successive evoluzioni dell'individuo verso la sua condizione separata e infine adulta.
E' su questo terreno estremamente ricco di stratificazioni esperienziali che affonda le sue radici la psicoanalisi, il cui dispositivo semiotico di traduzione-decodificazione non è quindi ristretto all'ambito pur infinito della parola (Lacan docet!), ma si allarga alla possibilità di costruire significati condivisibili a partire da quell'universo sensoriale primitivo, senza voce né parole, che occupa un posto centrale nella vita di ogni individuo.
Quindi la psicoanalisi, concepita e fondata sulla parola che nella metafora freudiana apporta consapevolezza ed illumina le tenebre dell'inconscio, potrebbe ben definirsi altresì come la disciplina del non-dicibile, in quanto cioè non-ancora dicibile in una prospettiva temporale ed evolutiva, o anche in-dicibile come esperienza ed espressione di un limite di senso, il limite della pensabilità o perfino del limite estremo della morte.
A livelli così primitivi del funzionamento psichico, che sappiamo essere presenti in ognuno ma centrali e prevaricanti nell'esperienza del bambino piccolo come anche nel vissuto soggettivo di adulti con gravi problematiche di tipo psicotico, il discorso psicoanalitico si rovescia rispetto alla antica prassi ortodossa e ormai demodè della cosiddetta 'interpretazione classica' - estremizzando con ironia: il campanile equivale al pene, la borsetta alla vagina..! - poiché in tal caso il paradigma epistemico non è più quello della contrapposizione tra ordine manifesto e latente del discorso: non c'è in altri termini un contenuto affettivo 'nascosto' sotto un contenuto manifesto inserito in una catena associativa di immagini-ricordi-parole- concetti etc., ma si tratta invece di costruire un possibile scenario che funga da contenitore ed attivatore per ciò che definiamo col termine di 'inconscio', affinchè questo 'risponda' producendo ulteriori elementi, inizialmente schemi primari di risposta (interesse, avvicinamento, allontanamento, evitamento, incorporazione, rifiuto, etc..) e connettendo progressivamente aree sempre più estese di consapevolezza, in una processualità semantica che si sviluppa necessariamente 'a posteriori' (la Nachtraglickeit freudiana, ancora una volta).
Una tale estensione della portata epistemica della disciplina psicoanalitica, e la relativa necessaria attenzione alle configurazioni dinamiche profonde del funzionamento mentale, consentono a questa prassi terapeutica di poter condividere col paziente aspetti del proprio essere nel mondo difficilmente riconoscibili altrimenti, offrendo al contempo la possibilità di dare una forma meno precaria e più autenticamente vitale al proprio mondo interno in una modalità anche esteticamente significativa, quando la creatività interiore riesce ad essere sollecitata ed alimentata attraverso l'interazione terapeutica.