mercoledì 12 settembre 2012

Uno, due, tanti Io





«Sia sul piano scientifico che su quello morale, venni dunque gradualmente avvicinandomi a quella verità, la cui parziale scoperta m'ha poi condotto a un così tremendo naufragio: l'uomo non è veracemente uno, ma veracemente due.»
R.L.Stevenson - Lo strano caso del dottor Jeckyll e del signor Hyde, Einaudi tascabili, 1996

«Nell’età odierna, siamo giunti a comprendere come i nostri sé siano compositi, spesso contradditori, persino internamente incompatibili. Abbiamo capito che ciascuno di noi è molte differenti persone. I nostri sé più giovanili differiscono dai nostri sé più anziani; possiamo essere spavaldi in compagnia di chi ci ama e timorosi di fronte ai nostri impiegati, di sani principi quando educhiamo i nostri bambini e corrotti quando ce ne venga offerta qualche segreta tentazione; siamo seri e frivoli, chiassosi e silenziosi, aggressivi e facilmente turbati. La concezione del diciannovesimo secolo di un sé integrato è stata rimpiazzata da questa folla sgomitante di “Io”. E tuttavia, a meno che noi non siamo danneggiati, o squilibrati, abbiamo di solito un senso relativamente chiaro di chi siamo. Concordo coi miei molti sé per chiamarli tutti "me".»
  
S.Rushdie, India at five-O. Time Magazine, 11.8.1997




Probabilmente, la prima domanda che gli uomini si sono posti – dopo aver stabilito di essere qualcosa e poi qualcuno – è stata 'Chi sono io?'. La domanda fu subito oggetto di interesse di alcuni tra essi che intravidero in questa (apparentemente) innocente interrogazione la possibilità di dare il loro contributo al gruppo sociale (ma spesso anche per esercitarvi una forma di potere e di controllo: vedi 'il buon pastore e le pecorelle smarrite' per quanto riguarda il versante religioso o in seguito il mito della 'normalità' su quello delle scienze psico-sociologiche ..). Vennero così prima gli sciamani, poi i sacerdoti, poi i filosofi dell'antichità, quindi quelli dell'età moderna e in ultimo psichiatri, psicologi e psicoanalisti che ne stanno ancora discutendo. Ad oggi tuttavia la risposta è ancora incerta e la storia dell'umanità procede in attesa che si riesca finalmente un giorno a trovarla. Alla voce 'io', per esempio, così recita il vocabolario (1) : […] Come s.m., l'uomo in quanto ha coscienza di se stesso e del proprio mondo. (estens.) La persona in quanto egoisticamente circoscritta […]. Nella filosofia moderna: la coscienza e la personalità umana in quanto soggettività. Nella psicoanalisi: L'Io (con iniziale maiuscola) è l'organizzazione più coerente dei processi psichici: è la parte della psiche che si mette in relazione sia con l'ambiente esterno che con il proprio inconscio e permette al soggetto di adattarsi alla realtà nel miglior modo possibile, valutando le percezioni, gli aspetti spazio-temporali, e interpretando i fatti in senso critico..1Per il senso comune, ne sortisce l'idea di una comunione indissolubile tra l'io e la soggettività dell'individuo, ciò che è più propriamente sé stesso, che gli appartiene e lo distingue da tutti gli altri. Potremmo anche dire che così come l'inconscio ci rende 'tutti uguali' (primo esempio di principio personificato di democrazia della natura umana!), la coscienza – e l'Io che ne è l'espressione diretta – ci fa diversi, ci 'identifica', ci separa da tutti gli altri e ci costringe in una rappresentazione di noi stessi, in un ruolo, in un modo particolare – unico anzi – di essere e di sentire. Che cosa infatti ci rende differenti gli uni dagli altri, se non il nostro Io, costruitosi nel tempo giorno dopo giorno, esperienza dopo esperienza, ricordo dopo ricordo, pezzi di vita che si accumulano nella coscienza incastrandosi in irripetibili opere uniche?
.. Ma che fine ha fatto oggi l’io? Intanto, come visto, si è duplicato, anche concettualmente, dall'avvento della psicoanalisi, che lo ha titolato in maiuscolo (forse per 'risarcirlo moralmente' in qualche modo dopo averlo ridotto a semplice comprimario di Es e SuperIo: ..una specie di nobile decaduto!). Ma soprattutto si è passati dalla iniziale domanda dell'umanità: 'chi sono io?', a quella ben più complicata: 'che cos'è l'Io', che apre un vuoto abissale sotto i piedi della coscienza storicamente intesa come centro della soggettività raziocinante e autoconsapevole.
Un passo indietro. Fino a un secolo fa avevamo lasciato l'io, ancora integro, nelle mani di Cartesio, che pose il 'cogito' a fondamento della sua costruzione filosofica: 'penso, dunque sono' diceva, sottintendendo chiaramente un 'io' all'inizio della frase e/o tra la seconda e la terza parola. E questo 'io', conchiuso e definito in sé stesso, aveva viaggiato per secoli, simile ad un veliero sul mare infinito, sfidando onde e tempeste. Ma qualcosa deve essersi cominciato a rompere già sul finire del '700, quando la rivoluzione francese, portando all'estremo la fiducia nel 'lume della Ragione' , tagliò le teste regali e dimostrò che esse potevano tutto sommato essere sostituite da altre teste, affatto regali, ma ugualmente raziocinanti (dall'assolutismo della monarchia a quello della ragione..). Tra Sette ed Ottocento, la filosofia occidentale, con Kant prima ed Hegel poi, ha tessuto le lodi della Ragione autocritica che riesce a sottoporre ad esame la sua stessa capacità di conoscere, pervenendo ad un ideale di conoscenza che passa attraverso un approdo 'trascendentale' alla problematica soggetto-oggetto. Come al solito però fu l'arte a farsi carico di mettere alla portata di tutti un certo cambiamento nel modo di considerare il proprio 'io'. Quando nel 1886 R.L.Stevenson pubblica il suo 'Lo strano caso del dottor Jeckyll e del signor Hyde', e pochi anni dopo Oscar Wilde pubblica Il ritratto di Dorian Gray, il mondo culturale ha già da tempo ingerito il virus che porterà la coscienza dell'uomo moderno ad una progressiva destrutturazione e allo sfaldamento di assetti consolidati sotto la spinta dei cambiamenti radicali apportati dal progresso scientifico e dalla nascente tecnologia industriale. L’io che Freud si ritrova tra le mani sul finire del secolo scorso è quindi una entità già minata da una profonda scissione interna, ed il compito della psicoanalisi nei decenni successivi è stato appunto quello di mostrarne il reale funzionamento tra meccanismi difensivi di adattamento, compromessi nevrotici e rotture psicotiche. Ed è soprattutto nella sua concezione del sogno, come rappresentazione della conflittualità della mente in una sorta di 'teatro interiore', che Freud per primo ci mostra in dettaglio come funziona il nostro io e a quale profondità arrivino le sue radici, evidenziandone la struttura composita ed assegnando ai personaggi del sogno ruoli e funzioni diverse all'interno della complicata dinamica relazionale tra i diversi aspetti del proprio sè .
L'io di Freud (l'Io della seconda topica, per intenderci) ha subito anch'esso una trasformazione sostanziale rispetto alla sua iniziale concezione dei sistemi psichici differenziati in Conscio-Preconscio-Inconscio. In questa prima formulazione, propugnata fino agli anni '20 del Novecento, l'io freudiano coincideva con la personalità totale e in sostanza con l’aspetto cosciente del funzionamento mentale; qui la nevrosi ed il conflitto psichico è originato dal rapporto tra l'Io e la sessualità (intesa nel senso di una sessualità infantile 'perversa e polimorfa', secondo la definizione delo stesso Freud), ciò che determina il fenomeno centrale della rimozione ed il rimosso. Con la pubblicazione di Introduzione al narcisismo (1914) questa visione comincia a subire un primo cambiamento e l'Io viene considerato non più come il semplice censore delle rappresentazioni attinenti la sfera sessuale ma piuttosto come esso stesso strutturato ed alimentato dalla componente libidica (le fasi orale, anale e fallico-genitale corrispondenti alla attivazione libidica sequenziale di specifiche zone erogene). Qui tuttavia l'Io è ancora espressione di un sistema 'pulsionale' interno-soggettivo che si contrappone all’investimento oggettuale, cioè all’investimento nei confronti di un oggetto esterno. Intorno agli anni '20, la svolta del pensiero freudiano giunge a una rappresentazione della struttura psichica in termini di 'istanze', cioè l’Io, l’Es ed il Super-Io ed alla differenziazione delle pulsioni fondamentali in pulsioni di vita e di morte. In questa nuova visione emerge da un lato tutto il potere smisurato dell'Es, da cui lo stesso Io trae energia, e dall'altro la funzione censoria del Super-Io, che costringono l'Io ad un ruolo di perenne mediazione e compromesso rispetto alle sempre mutevoli esigenze della realtà esterna. A questo drastico ridimensionamento dell'autonomia dell'Io rispetto alle prime concettualizzazioni si devono poi aggiungere altri aspetti relativi alle dinamiche primarie di relazione oggettuale quali l'imitazione, l'introiezione, l'identificazione, dinamiche approfondite da Freud proprio in quegli anni, che rendono ancor più complesso il quadro e portano ad una concezione del ruolo e della funzione dell'Io in senso sempre più relazionale e dipendente dalle precoci identificazioni con l'oggetto genitoriale. Questo nuovo scenario, e le molteplici dinamiche alla base dei meccanismi di formazione del sistema dell'Io, rendono quindi sempre più complessa la sua struttura ed al contempo anche più fragile e sottoposta al rischio potenziale di una 'destrutturazione', o di una 'frattura', in concomitanza di momenti e circostanze della vita particolarmente carichi di valenze e significati emotivi ed affettivi. In una famosa metafora, Freud parla di 'linee di frattura' della struttura dell'Io paragonandole a quelle che si osservano nei cristalli, che si verificano invariabilmente sulla base delle loro dinamiche strutturali di formazione. L'io, dunque, in determinate situazioni si 'romperebbe' secondo linee precostituite, rintracciabili nelle strutturazioni più deficitarie della nostra psiche e in determinati 'punti di fissazione' o di patologica deviazione dello sviluppo evolutivo. Ciò che emerge con evidenza da questa nuova concezione, che verrà più tardi ampliata e ribadita da Freud in La scissione dell'Io (1938), è dunque l'aspetto strutturalmente diviso e frammentato, ab origine, dell'Io, un sistema che funziona solo in quanto sintesi più o meno armonica di elementi eterogenei, integrati in una struttura complessa e sottoposta a forze spesso soverchianti che possono provocarne in qualsiasi momento l'indebolimento e lo sfaldamento...(continua


Il presente brano è tratto dal saggio breve dal titolo omonimo, di prossima pubblicazione nella sezione 'Scritti' del sito web: www.fernandomaddalena.it






1Dizionario della lingua italiana Devoto-Oli