venerdì 19 febbraio 2010

Il richiamo di Pan



“Dove c'è panico, lì c'è anche Pan..” - dice J.Hillman in un suo famoso saggio, che ripercorre nel suo stile mitologico-archetipico i luoghi concettuali e culturali collegati alla presenza del dio della natura; dal piede caprino e fornito di corna, abitatore delle grotte e delle selve impervie dell'antica Grecia, egli è colui che sotto il sole a picco del mezzodì si attarda a suonare la siringa e sorprende uomini e animali di un sacro terrore che ne sconvolge le membra e ne ottenebra le menti. “Se Pan è il dio della natura 'dentro di noi – continua Hillman – allora egli è il nostro istinto […] La figura di Pan rappresenta la coazione istintuale e nel contempo offre il mezzo mediante il quale la coazione può essere modificata attraverso l'immaginazione [...]Quando l'anima è presa dal panico, Pan si rivela con la saggezza della natura. Essere senza paura, privi di angosce, invulnerabili al panico, significherebbe perdita dell'istinto, perdita di connessione con Pan..”. Se dunque in questa lettura archetipica il dio-capro rappresenta l'ambivalenza dell'istinto e il suo potenziale destabilizzante per la mente umana, esso esprime anche quella saggezza del corpo che è in connessione col divino e che ne esprime le imperscrutabili geometrie.

Lasciando le vette dell'Olimpo e tornando ad un più prosaico piano del discorso, prima di vedere da vicino cos'è e come si manifesta un attacco di panico, potremmo intanto innanzitutto chiederci se esso sia un fenomeno di natura essenzialmente psicologica oppure neuro-biologica, se alla sua origine cioè vi siano motivazioni legate al vissuto intrapsichico e relazionale oppure cause di tipo sostanzialmente chimico, la cui alterazione produce quelle sensazioni corporee così disturbanti. Ma impostare la riflessione su questa domanda sembra allontanarci dal fenomeno in sé e farci perdere di vista la compresenza di entrambi gli aspetti, che potrebbero invece essere considerati concomitanti anziché antagonisti, nel senso che l'uno alimenta e rinforza l'altro, quindi all'interno di un paradigma di tipo olistico (lo 'psiche-soma', anziché il dualistico 'psiche' e 'soma'), in cui il sintomo fisico è simultanea traduzione ed espressione di un vissuto psichico, in questo caso primitivo e mai giunto ad una forma di elaborazione mentale superiore-cosciente, quindi in sostanza non altrimenti rappresentabile dalla mente se non attraverso il codice somatico.
Ovviamente poi, non bisognerebbe ridurre il complesso quadro clinico in esame, che si rivela peraltro in differenti forme di sofferenza psicologica e psichiatrica, ad una categoria psicopatologica 'pura' e isolata, come a volte si tende a fare quando la 'tentazione' medico-classificatoria prende il sopravvento su una riflessione più consapevole delle innumerevoli dinamiche psicologiche sottese alla formazione di un qualsiasi sintomo. E' il caso della 'etichettatura' diagnostico-clinica spesso banalizzante offertaci da noti 'manuali' di stampo psichiatrico in auge negli ultimi anni, laddove occorrerebbe invece cercare di individuare dei tratti peculiari che possano offrire una sufficientemente corretta lettura in termini esperienziali-fenomenici e psicodinamici, all'interno cioè di un'ottica che predilige l'osservazione di movimenti interni e relazionali sullo sfondo di una concezione sistemica-conflittuale della mente, considerata questa come il risultato di forze e pulsioni antagoniste che si stemperano e trovano un equilibrio intorno ad un oggetto primario di riferimento, le immagini interiorizzate della madre prima e della coppia genitoriale poi...



(Il brano è tratto da un recente articolo dal titolo: Attacchi di panico: una lettura psicoanalitica in cinque atti, di prossima pubblicazione nella sezione 'Scritti' del sitoweb: www.fernandomaddalena.it)