venerdì 29 aprile 2011

Che cos'è la verità?


Bisogna che si sia in due per scoprire la verità:
che vi sia uno che la esprima e un altro che la comprenda.


Kahlil Gibran


"..Ciò vuol semplicemente dire tutto quel che c'è da dire della verità, la sola, e cioè che non c'è metalinguaggio[..], che nessun linguaggio saprebbe dire il vero sul vero, perchè la verità si fonda sul fatto che parla, e non ha altro modo per farlo."

J.Lacan, Scritti, La scienza e la verità.



Se dovessimo individuare, in psicologia, l'equivalente dell'atomo per la fisica, cioè 'il mattone' su cui l'intero complesso scientifico poggia e si articola nelle sue poderose costruzioni, potremmo riferirci alle 'rappresentazioni psichiche', cioè a quel complesso di immagini mentali che fin dalla nascita vanno costruendosi nella psiche di ciascuno di noi, integrandosi con sensazioni corporee, stati affettivi ed emozioni per produrre esperienze soggettive ed uniche, in grado di determinare disposizioni e inclinazioni di quella che poi sarà una personalità individuale.
L'essere umano infatti, fin dall'inizio, 'rappresenta' il suo vissuto e il mondo intorno a sé facendo convergere una mole immensa di dati e filtrandoli attraverso le diverse attività cognitive in fieri (attenzione, concentrazione, memoria, aspetti decisionali, etc..), che così iniziano a operare e a specializzarsi sempre di più. Le rappresentazioni (di sé, degli altri, del mondo) costituiscono così quelle strutture mentali primarie che consentono al bambino di sperimentare ed interpretare le stimolazioni provenienti dall'interno e dall'esterno attribuendo ad esse un significato ed una gerarchia di valori in base alla loro progressiva differenziazione.
Ma soprattutto, le rappresentazioni sono quelle strutture mentali che, una volta consolidate, consentono di operare sulla realtà in modo anticipato o posticipato, cioè sulla base di presupposti, previsioni e riflessioni che si attuano anche in assenza dello stimolo iniziale che le ha prodotte. La stessa fondamentale capacità di simbolizzazione (il fatto che il bambino possa pensare, giocare e parlare, per intenderci, cioè giungere a mettere in atto i comportamenti tipici del genere umano) dipende dalla possibilità di creare un sistema fluido di rappresentazioni in interazione reciproca con un grado sempre maggiore di adattamento alla realtà.
Con l'acquisizione del linguaggio, quindi, le rappresentazioni psichiche originarie subiscono un'ulteriore e decisiva trasformazione, divenendo più ricche e complesse, consentendo di allargare il loro ambito di riferimento e gli elementi correlati. Si formano pensieri, concetti, teorie, tutta quella sovrastruttura cognitiva che consente all'individuo di relazionarsi coi suoi simili sulla base di un codice condiviso di segni e significati.
Ma la parola, in quanto de-finizione, è portatrice di quella istanza del limite che tende a circoscrivere in un frammento isolato (il 'corpo' della parola, il suo suono, in quanto residui materiali che suggeriscono la sua finitezza) il potenzialmente 'oltre' della rappresentazione, che è invece praticamente infinita poiché agglutina intorno a sé una moltitudine di elementi spazialmente e temporalmente eterogenei.
Ciò che accade con la parola dunque è una operazione duplice, espansiva ma anche riduttiva; necessaria affinchè l'esperienza individuale possa essere condivisa con sé stessi e con gli altri, ma altresì limitante (o imprigionante, o.. 'castrante', per rimanere in ambito psicoanalitico!) rispetto alla 'potenza evocativa' della rappresentazione originaria. Potremmo quindi chiederci 'quanto rimanga tagliato fuori' dalla nostra coscienza dal momento in cui diveniamo soggetti parlanti, quanta mole di rappresentazioni cioè che, non potendo essere tradotte dal linguaggio, confluiscono in quella zona della mente che comunemente chiamiamo 'inconscio'.
Poichè la psicoanalisi insegna che non c'è altra possibilità di conoscere e di conoscersi se non attraverso la parola, quindi che la possibilità di raggiungere una qualsiasi 'verità' su noi stessi o sul mondo sia sottoposta ad un progressivo processo di consapevolezza di sé che opera in base allo strumento linguistico, dovremmo chiederci quale sia in fondo lo statuto di questa verità.
Potremmo dire infatti, col semiologo ed il linguista, che 'la verità è (soltanto) ciò che le parole ci consentono di esprimere a proposito di essa', quindi una verità 'parlata' o 'narrata', o tuttalpiù - e questo aspetto interessa invece in particolare lo psicoterapeuta – in quanto 'parlabile', o 'narrabile' (relativamente cioè alla possibilità o meno di operare una trasmutazione delle rappresentazioni inconsce e 'mute' in parole e concetti).
Ciò conduce ad una inevitabile divaricazione tra concetti quali verità 'storica' (ciò che è accaduto) e verità 'narrata' (ciò che si suppone sia accaduto, il racconto soggettivo, 'di parte', di quel fatto), per cui diremmo che siamo sempre di fronte a molte possibili verità, tante quanti sono i diversi punti di vista, quindi 'rappresentazioni', del mondo.
Ciò è particolarmente evidente nella stanza di analisi, dove la ricerca della verità storica ha lasciato il posto ad una molteplicità di prospettive possibili; il passato non è dato una volta per tutte, non è un corpo devitalizzato da osservare al microscopio, ma un processo vitale, che cresce con noi e trova sempre nuove significazioni al passo con le nostre stesse trasformazioni e cambiamenti evolutivi. E' il presente, dunque, che si lega al passato in configurazioni sempre nuove e che consente una continua ri-soggettivazione, un continuo ri-narrare in maniera diversa e potenzialmente creativa il proprio percorso esistenziale, movimento ritmico, pulsante e vitale, come quello delle maree, che tra alti e bassi si ripetono senza posa.