mercoledì 13 luglio 2016

Gradiva, quando la pietra si anima


“...L'immagine riproduceva, a un terzo delle dimensioni naturali, una completa figura femminile nell'atto di camminare: una donna ancor giovane, ma non più bambina, piuttosto una virgo romana, appena oltre la soglia dei vent'anni. Nulla in lei ricordava molto diffusi e ben conservati bassorilievi di Venere, di Diana o di altre dee olimpiche, nulla faceva pensare ad una Psiche o una ninfa. La figura aveva qualcosa di umano, di quotidiano, non però in senso negativo: qualcosa, per così dire, di 'attuale', quasi che l'artista, invece di buttar giù uno schizzo con la matita (come accade ai giorni nostri), già per la strada avesse fissato nel modello d'argilla la viva impressione del momento in cui ella gli era passata davanti.Una figura slanciata e snella, la cui capigliatura lievemente ondulata era quasi completamente stretta da una sciarpa leggera. Non vi era alcuna civetteria nell'espressione del volto sottile; i suoi tratti raffinati esprimevano piuttosto una serena indifferenza per quanto si svolgeva intorno, l'occhio era tranquillamente rivolto davanti a sé e lo sguardo non appariva turbato né da cose materiali né da complicazioni interiori. Così la giovane donna non colpiva tanto per una sua bellezza plastica; piuttosto possedeva una grazia naturale, semplice, virginale, che sembrava infondere vita all'immagine di pietra. Vi contribuiva notevolmente il movimento in cui la giovane donna era rappresentata. Col capo lievemente reclinato, tratteneva la veste assai ampia che scendeva dalle spalle alle caviglie, così che erano visibili i piedi nei sandali. Il piede sinistro era avanti, e il destro sul punto di seguirlo toccava appena con le punte delle dita il terreno, mentre la pianta e il calcagno si alzavano quasi verticalmente. Questo movimento dava una doppia impressione: soprattutto quella di una lieve agilità nel passo, ma insieme anche quella di una stabilità. Questo librarsi in volo, congiunto alla sicurezza dell'incedere, conferiva all'immagine la sua grazia specifica. Da dove veniva e dove si sarebbe diretta? In realtà, in questo bassorilievo il dottor Norbert Hanold, docente di archeologia, non aveva trovato nulla che la sua scienza potesse considerare degno di nota. Non si trattava di un rimarchevole esempio di arte plastica antica, in fin dei conti era solo un quadretto di genere dell'età romana, ed egli non sapeva spiegarsi cosa mai avesse richiamato la sua attenzione: sapeva solamente di essere stato attrattto da qualcosa e che dal primo sguardo quest'effetto si era mantenuto inalterato. Per dare un nome all'immagine se l'era chiamata 'Gradiva', 'colei che avanza' , etc...”

Così inizia 'Gradiva', racconto che il medico-scrittore tedesco Wilhelm Jensen compose nel lontano 1903 e di cui Freud si appassionò, scrivendone a sua volta qualche anno più tardi (“Il delirio e i sogni della Gradiva di W. Jensen”, 1906).Il protagonista, Norbert Hanold, è un giovane archeologo che in una visita ad un museo di Roma è colpito da un bassorilievo che ritrae la figura di una giovane donna nell'atto di incedere, ma in un modo così particolare ed aggraziato che l'immagine di pietra sembra prendere vita, al punto da determinare in lui un'emozione che supera l'interesse meramente professionale per il reperto archeologico. Norbert sente infatti una progressiva attrazione per l'immagine (di cui nel frattempo ha fatto un calco per poterlo portare con sé di ritorno in Germania) e le dona il nome di 'Gradiva' (dal verbo latino gradior che richiama appunto l'incedere, l'avanzare della figura).
Si instaura così in lui un turbamento profondo che si protrae nel tempo, dando origine a una serie di sogni e stati emotivi alterati che sembrano preludere ad un vero e proprio delirio, in cui la 'donna di pietra', Gradiva, prende corpo e si materializza dinanzi al sempre più confuso e sconcertato Norbert, in un inestricabile miscuglio di realtà e fantasia nello scenario di una Pompei appena prima della eruzione distruttiva del Vesuvio del 79 d.C.
Il racconto si scompone a questo punto su una duplice linea temporale e scopriamo che la trama delirante, i sogni e le allucinazioni del protagonista si sono costruiti via via attorno alla figura di un'amica d'infanzia di Norbert, non più frequentata in seguito ma sempre sua discreta vicina di casa, certa Zoe Bertgang (il cui nome è sinonimo in greco di 'vita', mentre il cognome tedesco allude, non a caso, all'atto del camminare), che – grazie al riemergere di antichi ricordi d'infanzia fino a quel momento sepolti nella memoria di Norbert – viene così gradualmente a sovrapporsi all'immagine scolpita fino alla sua completa 'incarnazione'. E' così che la 'donna di pietra' si trasfigura nella 'donna viva' ed attraverso il recupero dei ricordi e delle emozioni connesse il protagonista può infrangere la spirale alienante del delirio, che il 'ritorno del rimosso' – direbbe Freud - coincidente con la visione della particolare scultura, aveva originato...
Astraendo dalle innumerevoli specificazioni e interpretazioni di ordine psicoanalitico che il racconto di Jensen ha stimolato, in Freud e negli esegeti dopo di lui, è in questa sede il meta-racconto di Freud che ci interessa di più, cioè quella riscrittura di un testo narrativo che mostra il tentativo di applicare l'indagine e il vertice della psicoanalisi alla letteratura e all'arte in generale. Il fatto cioè che nel racconto emergano contenuti e dinamiche tipiche della concettualizzazione psicoanalitica (il rimosso, il fallimento della rimozione, la dinamica delirante che si propone come ricostruzione di un senso possibile in base ad elementi del passato ibridizzati con aspetti del presente, etc..)ha chiaramente colpito l'attenzione di un vorace e acuto lettore, quale Freud era, portandolo ad approfondire il legame intimo tra arte e psicoanalisi e l'esperienza della creatività, proseguito poi attraverso successivi scritti (Il Mosè di Michelangelo, Un ricordo d'infanzia di Leonardo da Vinci, etc..).
A proposito del racconto di Jensen e nel complesso dell'opera poetica-letteraria Freud cosi' si esprime: “Probabilmente, noi e lui (lo scrittore, o l'artista in genere) attingiamo alle stesse fonti, lavoriamo sopra lo stesso oggetto, ciascuno di noi con metodo diverso; e la coincidenza dei risultati sembra costituire una garanzia che abbiamo entrambi lavorato in modo corretto”.
Concetto ampiamente ribadito nello scritto “Il poeta e la fantasia” del 1907, mentre nel discorso tenuto in occasione del suo settantesimo compleanno è ancora più chiaro rispetto alla preminenza dell'artista: “I poeti e i filosofi hanno scoperto l'inconscio prima di me; quel che ho scoperto io e' il metodo scientifico che consente lo studio dell'inconscio”. In altri termini, l'artista non farebbe altro che esprimere in una veste intuitiva-poetica cio' che nella psicoanalisi e' espresso in forma scientifica; arte e letteratura occuperebbero quindi una posizione privilegiata, a metà strada tra realtà e fantasia, tra coscienza e inconscio, laddove risiede il mistero della creatività.


(reminder Luglio2010)