sabato 28 dicembre 2013

Il nome delle cose


“..Le parole sono il diavolo, noi lì a credere di lasciarci uscire dalla bocca solo quelle che ci convengono e, tutt'a un tratto, ce n'è una che si intrufola, non abbiamo visto da dove sia spuntata, nessuno l'aveva chiamata e, a causa di quella parola, che non di rado avremo poi difficoltà a ricordare, la rotta della conversazione cambia bruscamente quadrante, ci mettiamo ad affermare ciò che prima negavamo, o viceversa..”
Josè Saramago, L'uomo duplicato, Feltrinelli, p.178

“...Ma dì soltanto una parola ed io sarò salvato.”
Dal rituale liturgico della Messa cattolica


Tra inconscio e coscienza, tra silenzio e parola, si estende un territorio infinito e sconosciuto, fatto di trame e dinamiche sotterranee che come le talpe scavano percorsi per arrivare infine alla luce diurna. Regno intermedio questo, mitica Terra di Mezzo, che può diventare anche un imprevedibile campo minato di involontarie allusioni, doppi sensi, lapsus, dove l'elemento intrinseco di sovversività che risiede nel nostro più profondo essere psichico oppone il suo spessore obliquo rispetto alla logica appianante della ragione.
D'altronde, non è forse l'inconscio 'strutturato come un linguaggio', come recita uno dei 'mantra' del Guru Lacan ?
La parola, in sé stessa, è innanzitutto definizione e identificazione, come anche rappresentazione, individuazione, contenimento, limite, cristallizzazione (di una cosa, di un concetto, di una emozione, etc..). Operazione magica che reifica e categorizza, inquadra, infine eternizza il fluire spazio-temporale scomponendolo e ricostituendolo nella rete impalpabile ma tenace dell'astrazione (la parola è l'Aufhebung della cosa, afferma Hegel, che utilizza il termine per indicare un negare, un sopprimere, per cui in definitiva il simbolo è l'assassinio della cosa reale).
Ma il processo della 'nominazione' (o potremmo definirlo, con immeritata licenza poetica, 'parol-azione', cioè il risultato della 'azione di parola', o della 'parola in azione') è altresì una vera e propria 'creazione' di nuovi mondi, l'epifania del neologismo divino, scoperta ed annessione di terre vergini ed estensione del potere dell'Io-coscienza (“In principio erat Verbum”, sentenzia San Giovanni, come d'altro canto la vertigine combinatoria e le permutazioni letterali e numeriche dei settantadue nomi di Dio della Cabala ebraica).
Noi 'conosciamo' solo se siamo in grado di distinguere ed identificare, di evocare un nome che racchiuda l'oggetto della conoscenza (“Nomen omen”, dicevano i latini); 'sappiamo' solo se riusciamo a dare un nome al nostro sapere, sentendoci poi appagati e tranquillizzati dal fatto che 'quel' nome rimanga, stabile e imperituro, a designare nel tempo una qualsiasi entità del nostro cosmo esistenziale, altrimenti soggetto a continui mutamenti e fluttuazioni di senso, morti e rinascite...
Proprio questa duplice valenza ad un tempo mortifera e creatrice insita nella parola, la sua virtù di delimitare e fissare nel tempo e quella al contrario di costruire la realtà e generare nuove connessioni di significato è ciò che ci permette di essere pienamente umani, di creare gerarchie di astrazioni e stabilire un confronto comunicativo con noi stessi e con gli altri.
Breve intermezzo semiserio (a mò di pausa pubblicitaria). Immaginiamo il naturalista ottocentesco che, di ritorno dalla spedizione in Africa equatoriale, infilzi al quadretto la variopinta e ancora sconosciuta farfalla catturata ivi col retino, per farne bella mostra nel proprio studiolo, non prima di averla 'battezzata' con un nome esotico altisonante (sovente unito al proprio cognome in versione latina: che so, per esempio la Marpesia Petreus..). Ecco; un 'pezzo di natura', fino allora sconosciuto e quindi di fatto 'inesistente' per lo scienziato, è stato così annesso alla realtà condivisa, arricchitasi adesso di questa 'nuova creatura', che pur morta (stecchita e infilzata com'è!) acquisisce solo ora una sua propria vita nel mondo umano...Si dirà: “Ma esisteva anche prima e svolazzava viva e vegeta!”. “Già, ma solo 'in natura'” – ribatterebbe lo scienziato, senz'altro erudito da vecchie letture berkeleyane (1) – poiché di fatto essa non esisteva ancora per il mondo scientifico, né tantomeno per il comune uomo della strada ...
Al di là del fatto che qualche indigeno africano dell'equatore possa – ben prima del nostro naturalista – aver battezzato quella specifica farfalla in un nome affatto diverso (che so, tanto per dire: tuc tuc, per rimanere nel linguaggio semplice delle popolazioni tribali!), questo siparietto d'antan ci introduce alla tematica del conosciuto/ sconosciuto e alla problematica del conoscibile/inconoscibile che interessa fin dall'inizio la disciplina psicoanalitica.
Tutta l'invenzione freudiana nasce infatti con la possibilità di nominare, far parlare i pensieri e i sentimenti attraverso la 'libera associazione' (“Talking cure” la definì in modo semplicemente perfetto una delle sue prime pazienti, la ormai 'mitica' Anna O.).Il soggetto si racconta e così facendo cerca e trova le parole per esprimere il suo mondo e portarlo a compimento attraverso un rapporto di significanza, cioè di un legame stabilito in profondità tra inconscio, coscienza e realtà esterna, così da poterlo condividere con un Altro-da-sè.
Peraltro, l'infinita possibilità di nominare e ri-nominare il mondo esterno ed interno attraverso la parola rimanda poi anche alla virtuale 'interminabilità' della cura psicoanalitica, delineando un processo in cui non si finisce mai di interpretare la realtà alla luce del cambiamento e delle trasformazioni del presente, consentendo così l'attribuzione di nuovi significati che aderendo alle costanti sollecitazioni del mondo affettivo-emotivo interno mantengono sempre aperto l'orizzonte di senso entro cui si muove l'individuo.
Ed è proprio quando la parola si fa dissonanza, quando rompe gli schemi consolidati dal 'già detto', quando esce cioè dal 'solito giro', dal centro delle abitudinarie associazioni e si avventura tra le periferie del senso, nel silenzio delle strade secondarie in bilico tra noto e ignoto, che essa acquista quel potere creativo ed evocativo che funge da tramite tra dentro e fuori e che può rimettere in discussione una ormai logora visione della realtà, giunta ad una necessaria ma quanto mai temuta esigenza di cambiamento.
E' allora che la farfalla magicamente riconquista la sua vita e con un solo battito di ali spezza lo spillo che la teneva immobile in cornice e si libra, voluttuosa, nell'aria.




(1)George Berkeley (1685-1753), filosofo empirista e teologo irlandese.La sua filosofia viene ricordata per la celebre formula «Esse est percipi», cioè "l'essere è essere-percepito", ossia: tutto l'essere di un oggetto consiste nel suo venir percepito e nient'altro. Quindi la realtà, per essere considerata esistente, deve essere percepita, grazie all'azione divina, dallo spirito umano.