lunedì 3 dicembre 2012

Storie che curano


Prendiamo a prestito questo titolo – essenziale, pregnante, esaustivo nella sua concisione – di un noto libro di James Hillman, per ribadire alcuni elementi centrali dell'attuale discorso e prassi psicoanalitici e della costante evoluzione del progetto freudiano, testimonianza di una sua perdurante vitalità che contraddice i tanti, troppi, detrattori odierni della psicoanalisi, che la vogliono relegata ormai ad una pratica antiquata ormai agonizzante se non già bell'e sepolta...Al di là della declinazione archetipica propria della visione hillmaniana, che qui non prenderemo in considerazione, le 'storie che curano' evocano infatti in modo diretto il ruolo fondamentale che riveste nel processo terapeutico l'azione del racconto, il raccontarsi, il narrare la propria esperienza soggettiva inserendola in un 'testo', scritto o parlato che sia, comunque condivisibile e quindi storicizzabile.In opposizione ad una accezione denigratoria del termine 'storie', intese anche, almeno nella lingua italiana, come argomentazioni fantasiose o poco convincenti ('..le tue sono tutte storie!') – suggerendo che la psicoanalisi in definitiva non sia altro che un modo per 'raccontare/inventare storie al fine di costruire una pseudo-realtà condivisa del presente e del passato del paziente, o nel peggiore dei casi addirittura 'impostagli' dall'analista attraverso le sue teorie ed interpretazioni – il senso che si vuole qui ribadire è quello invece di una narrazione di sé sostenuta da fatti, sentimenti ed emozioni vissute che cercano nella parola una naturale possibilità di espressione, di comunicazione e, talvolta, o spesso nel caso di sedute terapeutiche, di liberazione.
La possibilità di riscrivere la propria storia non deve essere quindi considerata come un tentativo onnipotente di cambiare le carte in tavola rispetto ai fatti ed al proprio passato, quanto piuttosto un modo nuovo di osservarli e di trarne ulteriori rimandi e significazioni, che possano essere utilizzati per una più comprensiva e consapevole rappresentazione di sé. Non si tratta cioè di ricostruire il 'testo' storico, secondo una certa deformata visione della prassi freudiana (la 'metafora archeologica' della ricomposizione pezzo per pezzo del mosaico del proprio tempo vissuto è stata fin troppo utilizzata ed intesa quasi alla lettera), quanto di costruire ex novo per mezzo della parola uno scenario più realistico in cui far convergere anche tutto quanto non ha né ha mai avuto accesso alla propria consapevolezza, o lo ha avuto solo parzialmente attraverso le deformazioni del sintomo nevrotico o in modo implicito attraverso il corpo e le sue patologizzazioni.
Il processo di 'soggettivazione', che conduce l'individuo ad essere sempre più coincidente con la propria parabola esistenziale, in una continua riappropriazione di sé e della propria storia, presuppone che si inneschi una dinamica di continuo scambio tra passato e presente ma in cui il primo termine non sia una forma meramente predeterminata, stabilita in illo tempore e una volta per tutte, quasi fosse una specie di 'versione ufficiale' della propria vita, dogmatica e immodificabile, o un racconto cristallizzato della 'fiaba' della propria infanzia e adolescenza.
L'esistenza, in altri termini, si storicizza a partire dal movimento di apertura che il tempo presente, nel suo incessante declinarsi al futuro, imprime alle nostre vicende anagrafiche: il risultato è una continua ri-significazione di ciò che è stato (che si contrappone per esempio a ciò che Lacan intende con il 'limite del reale', che non consente alcuna ulteriore trasformazione simbolica).
E' invece proprio questa possibilità di trasformare il passato in una nuova conoscenza di sé operante nel presente a mantenere aperto il proprio orizzonte esistenziale, e questo fatto ci consente di stabilire anche un diverso significato della temporalità del nostro vissuto, che non è quella di uno sviluppo uniforme e progressivo ma è un avvicendarsi di movimenti complessi e contrastanti, di epifanie e riordinamenti, di morti e rinascite e di continue vicissitudini del proprio essere nel mondo. Potremmo dunque dire che il soggetto individuale si realizza e giunge a compimento (ma sempre e solo relativo, poiché non c'è fine al modo di essere se stessi) soltanto nella perenne attività di soggettivazione di ciò che è stato, e tutto questo accade grazie e attraverso la parola. 
E' lo strumento della parola che permette infatti di ricongiungere passato e presente di volta in volta da un vertice differente, da un diverso punto di osservazione, che ora è rappresentato da un sentimento, ora da un ricordo, ora da un'emozione che stiamo vivendo, qui ed ora. In ogni caso la parola (e/o la sua scrittura, ovviamente) interroga il nostro passato e in tal modo lo resuscita e lo conduce a nuova vita. In questo ciclico riaprirsi dello spazio/tempo soggettivo la parola 'condivisa' (quella cioè che viene concepita e scambiata dagli interlocutori analitici) introduce di volta in volta i semi che porteranno ad una nuova fioritura di senso e di significato su di sé e sul proprio mondo. E questo al di là e oltre il discorso degli obiettivi terapeutici, che soprattutto oggi vengono rincorsi e sbandierati da troppe psicoterapie come indubitabili indicatori di 'guarigione del paziente' (rinforzo dell'Io, aumento della stima di sé, miglioramento delle relazioni sociali e altri adattamenti più o meno conformistici alla realtà, etc..), queste sì 'storie' nel senso inferiore del termine, in quanto espressione di una totale adesione a certi moderni modelli sociali e di pensiero prevalenti o imperanti in cui ogni divergenza dalla norma prestabilita viene vista come alterità o patologia.
Ma le storie che curano, quelle vere, non si lasciano irretire dalle mode culturali e dai condizionamenti sociali, seppure forti e dilaganti come in questi nostri tempi, poiché hanno a che fare con l'unicità della persona, e con la sua intima alterità costitutiva, che esige un confronto autentico all'interno dello scenario del proprio Sè, lontano dai paludamenti del benessere per tutti e a costi popolari... Esse 'curano' in quanto storie e narrazioni di sé sempre aperte alla possibilità di un proprio superamento e di una nuova riscrittura nel presente, e a patto che siano sentite di volta in volta più vere e definitive rispetto a tutte le altre precedenti che pure integrano, arricchiscono e poi sostituiscono, lasciandosele infine alle spalle. 
Come se, storia dopo storia su e intorno a noi stessi, ci si avvicinasse sempre più alla nostra vera storia, a quello che siamo diventati, poiché in ognuno di noi sembra esserci il bisogno, a volte la improrogabile necessità, di raccontarci a noi stessi, magari alla presenza di un testimone benevolo.