giovedì 24 febbraio 2011

Nel nome del Padre




“Ma il racconto di questo eterno modo
non si può fare a orecchi in carne e sangue.
Dunque ascoltami attento, Amleto. Ascolta!
Se mai tu amasti il tuo diletto padre...”

da Amleto di W.Shakespeare (Atto I, scena V)


“..Oh, uccidere un padre simile...Ma non è neppure possibile pensarlo!
Signori giurati, che cos'è un padre, un vero padre?”

da I fratelli Karamazov di F.Dostoevskij



“Padre nostro che sei nei cieli [...] sia fatta la tua volontà...” Fin da bambini, l'esortazione della preghiera cristiana per eccellenza ci ha posti al cospetto di un padre celeste e di un avvenimento di là da venire, di una storia da compiersi nel tempo, di una realizzazione su questa terra profana di un progetto divino in nome di una implicita autorità dello Spirito sulla Materia. Attesa e fede nell'evento hanno strutturato quindi l'esistenza degli uomini in un orizzonte di senso costruito sulla 'verticalità' della gerarchia Dio-Patria-Popolo, parallela a quella 'terrena' rappresentata dalla triade padre-madre-figlio.
Oggi, nell'era di Internet e della globalizzazione, viviamo in un mondo in cui la dimensione 'orizzontale' ha avuto il sopravvento su quella 'verticale', in cui lo spazio e le distanze annullano il tempo, quest'ultimo ridotto a semplice accumulazione di istanti successivi cui difetta anche solo 'un' senso definito, oltre quello relativo ad una fideistica attesa. Tutto è nell'immediato, tutto esiste nel momento stesso in cui il pensiero si attualizza, per perdere di significato appena un istante dopo, travolto dalle successive scansioni di fotogrammi esistenziali scaricati, senza soluzione di continuità, sulle nostre coscienze. Basterebbe per esempio pensare un attimo a cosa ne è delle notizie delle infinite morti che assorbiamo dai nostri televisori in modo totalmente acritico e ormai assuefatto alle esigenze del timing multimediale, tra lo spot di un deodorante per ascelle e l'espressione atona dello speaker. Ma ciò vorrebbe dire fermarsi a riflettere, e cioè interrompere quella sequela di notizie cantilenate che, nonostante tutto, ci rassicura almeno nella forma come una gradevole ninna -nanna. Oppure pensare ad un altro simbolo della 'orizzontalità' della nostra epoca: la progressiva estensione dei rifiuti urbani, la sterminata accumulazione di pattume che minaccia sempre più le nostre città in un assedio velenoso e asfissiante. L'oggettificazione 'selvaggia' delle nostre vite produce infatti una cronica indigestione di tutti quei prodotti 'usa e getta' che non sappiamo adeguatamente trasformare e riciclare in modo virtuoso, andando così ad occupare porzioni di mondo sempre più estese, in superficie come in profondità, fin dentro nella terra...
Ma lasciamo (apparentemente) questi scenari di sociologia post-atomica e restringiamo il campo sull'individuale e sul famigliare: l'idea stessa di una 'progettualità' insita nella propria esistenza deve fare i conti oggi con le inquietanti incertezze della vita moderna: adolescenze iper-protratte, mancanza di orizzonti rispetto al lavoro, concezione consumistica dell'esistenza (con Z.Baumann, parafrasando Cartesio diremmo: 'Consumo, dunque esisto'), crisi dell' identità soggettiva e crisi della famiglia e dei ruoli genitoriali...
Ce n'è abbastanza, anzi anche troppo, per non rendersi conto nel frattempo della scomparsa di una categoria, quella dei padri, che già nei decenni precedenti era stata oggetto di un'accorata quanto disperata attenzione della cultura in genere, in verità a partire dalla nascita stessa della psicoanalisi, che com'è noto è sorta sulla 'scoperta-invenzione' del famigerato complesso di Edipo.
Che la figura paterna abbia avuto un ruolo predominante nella vita dello stesso Freud è cosa nota, come anche il fatto che la ricerca analitica su se stesso sia iniziata subito dopo la morte del padre (avvenuta nel 1896: tre anni dopo Freud avrebbe avrebbe dato alle stampe L'interpretazione dei sogni, in cui larga parte è dedicata all'analisi di sogni relativi al rapporto con la figura paterna).
Ma questo episodio non è stato probabilmente che un'ulteriore spinta sull'urgenza dello Zeitgeist, dello spirito dei tempi, che erano allora evidentemente maturi affinchè certi aspetti e problematiche della dinamica dei rapporti umani fossero posti in luce e fatti oggetto di studio analitico. Come ci ricorda R. Girard, infatti, il Freud psicoanalista nasce insieme ai Fratelli Karamazov, l'opera dostoevskijana che più di ogni altra mette a nudo tali alterazioni intervenute nella modernità nel rapporto tra padri e figli. E Freud stesso scriverà un penetrante saggio sullo scrittore russo (in Dostoevskij e il parricidio, 1927), ricollegandosi alla evidente tematica edipica di altre opere celebri: “Non è certo un caso che tre capolavori della letteratura di tutti i tempi trattino lo stesso tema, il parricidio: alludiamo all’Edipo Re di Sofocle, all’Amleto di Shakespeare e ai Fratelli Karamazov di Dostoevskij. In tutte e tre le opere è messo a nudo anche il motivo del misfatto: la rivalità sessuale per il possesso della donna.”
Se tuttavia la declinazione freudiana insiste sul triangolo edipico in quanto fenomeno universale secondo lo schema classico del desiderio sessuale per la madre e della rivalità verso il padre (e quindi della angoscia di castrazione come secondaria alla colpa per il desiderio 'proibito'), è solo con Lacan che la figura paterna viene investita di tutto il suo intrinseco spessore simbolico, al punto di identificare l'Edipo come la metafora paterna per eccellenza. In particolare, le tendenze infantili che Freud vede all'opera in quanto espressione della naturale spinta evolutiva della vita psichica - l' attaccamento alla madre e l'ambivalenza verso il padre – rappresentano nell'economia freudiana due forze complementari ma in certa misura autonome e ben distinte: l'una avente come base la madre in quanto oggetto anaclitico, d'appoggio, l'altra presentando come elemento propulsivo il padre in quanto modello-rivale (che quindi sollecita nel bambino i processi di identificazione con la figura maschile).
Riprendendo una nota tesi di Lacan in proposito, in Les Complexes familiaux dans la formation de l'individu (1938), viene sottolineato come nella nostra società sia intervenuta una vera e propria degradazione del fenomeno edipico e che sia stata in realtà proprio questa alterazione strutturale del complesso a favorirne oltre cento anni fa la scoperta: “Forse è a questa crisi – scrive Lacan - che bisogna ricondurre l'apparizione della psicoanalisi stessa. Non è forse solo per un caso fortuito e sublime che proprio a Vienna - allora centro di uno Stato che era il melting pot delle più diverse forme familiari, dalle più arcaiche alle più evolute - un rampollo del patriarcato ebraico è riuscito a immaginare il complesso di Edipo..”.
Ma qual'è questa degradazione cui sarebbe stato soggetto nell'ultimo secolo e mezzo l'Oedipuscomplex, tale da rendere necessaria la sua cura attraverso la psicoanalisi? Come ribadisce Lacan, l'emersione della nevrosi nella sue forme attuali andrebbe collegata ad una certa alterazione strutturale della famiglia e al declino del patriarcato, con una conseguente carenza nella regolazione sessuale da parte dell'Ideale dell'Io.
Siamo dunque al punto: il declino del patriarcato, cioè della figura del padre tradizionalmente intesa come espressione di potere, autorità e baricentro della famiglia, e il conseguente offuscamento di una funzione paterna in termini di modello di identificazione, avrebbe determinato l'emergenza di una condizione di progressivo squilibrio nell'assetto famigliare sfociando nella patologizzazione delle relazioni tra i suoi membri. Ora, pur lasciandosi un debito margine critico rispetto alla semplice linearità della tesi lacaniana nella nostra epoca della complessità, abituata a una causalistica multidimensionale e plurideterminata, sembra ormai condiviso dalla opinione generale il fatto, peraltro storicamente evidente, per cui una progressiva esautorazione del riferimento paterno e una certa conseguente trasformazione dei rapporti all'interno della cellula famigliare abbiano sempre più influito sulle dinamiche interne della famiglia occidentale nell'ultimo secolo ponendone in luce numerosi aspetti problematici, che spesso oggi vediamo riflessi nelle manifestazioni più attuali del disagio psicologico soprattutto delle generazioni più giovani.
Ma, come fa Lacan, occorre vedere in modo più approfondito questa crisi della paternità e operare una distinzione preliminare a proposito della figura di padre. Ciò che qui è fondamentale è la funzione paterna, cioè il 'ruolo' più o meno adeguato svolto da quello specifico padre all'interno di un preciso e insostituibile spazio di significazione, e non la persona in quanto tale. Come sottolinea anche Joel Dor, la nozione di padre che interviene nel campo concettuale della psicoanalisi riveste il ruolo di 'operatore simbolico a-storico': "..Per poco che lo vogliamo considerare come un essere, si tratta meno di un essere in carne e ossa che di un’entità essenzialmente simbolica che prescrive una funzione."


Brano tratto da "Nel nome del Padre", saggio breve di prossima pubblicazione nella sezione 'Scritti' del sito web: www.fernandomaddalena.it