sabato 23 febbraio 2013

Segni sulla sabbia



Io sapevo che la terra stava ruotando, e io con essa, e Saint Martin des Champs e tutta Parigi con me, e insieme ruotavamo sotto il Pendolo che in realtà non cambiava mai la direzione del proprio piano, perchè lassù, da dove esso pendeva e lungo l'infinito prolungamento ideale del filo, in alto verso le più lontane galassie, stava, immobile per l'eternità, il Punto Fermo.
Il Pendolo di Foucault, U. Eco, Bompiani 2001.

...Cerco un centro di gravità permanente
che non mi faccia mai cambiare idea sulle cose sulla gente.. 

da Centro di gravità permanente, canzone di F.Battiato.

Il mondo è nel supporto della coscienza, ma la coscienza non ha bisogno di supporto. 
 La cosa e lo spazio, E.Husserl, Rubbettino 2009.



Immagino conosciate il pendolo di Foucault. Qualcuno dirà di averlo letto, ma quello è un libro di Umberto Eco (che tuttavia pure ci riguarda in questa occasione per i riferimenti inerenti l'argomento di cui vogliamo trattare). Il pendolo in carne ed ossa è invece – lo ricordo per i meno curiosi – quello strumento creato dal fisico francese Jean Bernard Leon Foucault nel 1851 per dimostrare scientificamente la rotazione della terra sul proprio asse.
Per fare questo Foucault costruì un enorme pendolo costituito da un peso, una enorme sfera di metallo sospesa ad una fune di oltre 60 metri, ancorata alla sua estremità superiore ad una architrave della cupola del Pantheon di Parigi e fatta oscillare nel vuoto in modo che la parte inferiore della sfera, dotata di un punteruolo, potesse incidere una superficie di sabbia sottostante ed imprimervi così la traccia del suo movimento oscillatorio (la cui figurazione sulla sabbia non è una semplice linea retta ma diviene - in base alla rotazione terrestre - un complesso tracciato sinusoidale in cui si identificano un centro e dei raggi concentrici).
Al di là del fatto che il movimento di un siffatto arnese incontri nella realtà concreta delle forze contrarie (forza di gravità, attrito dell'aria, etc..) che prima o poi ne costringono lo spegnimento progressivo delle oscillazioni, per cui tutti i pendoli simili hanno bisogno di un meccanismo ad elettromagnete che permetta loro di continuare il moto indefinitamente, una fantasia sorge spontanea (ed è la stessa del protagonista del libro di Eco): come è possibile misurare scientificamente il fenomeno di rotazione terrestre con questo pendolo se esso stesso è soggetto, in quanto ancorato ad un determinato punto dell'edificio terrestre che lo ospita, all'azione di rotazione (poiché - è ovvio - se il mondo ruota tutto ciò che appartiene al mondo ruota con esso)?
 In altri termini, è come se fossimo di fronte alla pretesa di rimanere immobili mentre tutto intorno a noi è soggetto a movimento, o ancora voler vedere un determinato oggetto nella sua completezza rimanendo confinati ad una sua visione ravvicinata e frontale, cioè senza distanziarcene in modo da poterne cogliere l'esatta dimensione e senza spostarci nello spazio circostante e retrostante per coglierne i diversi lati. Per eliminare l'incongruenza dovremmo quindi pensare – come anche ragiona il protagonista del suddetto romanzo – di ancorare il pendolo ad un 'gancio' che non stia sulla Terra, ma in un punto inamovibile dell'universo posto sul prolungamento ideale del filo, un centro perenne che non sia soggetto a sua volta alla dinamica di rotazione terrestre né a quella di qualsiasi altro pianeta o sistema stellare...
 Questa fantasia ci porta a pensare come la nostra mente necessiti di poter sempre fare affidamento su un punto fermo, ad una dimensione inalterabile, incorruttibile, ad una qualche certezza che funga da ordinatore e garante delle sue logiche interne, in sintesi ad un Cosmos che si opponga al Caos. Finora, nella storia dell'uomo, le religioni e le filosofie, con i loro credo e le loro fedi, hanno assolto e in parte assolvono ancora questo compito. Esiste l'Uno, esse dicono, eterno e immutabile. A questa fede originaria nel Divino il cosiddetto progresso scientifico ha in seguito affiancato la fede nella Verità della Scienza, giungendo tuttavia al relativismo ed agli imponderabili buchi neri ed alla ricerca – che si prospetta infinita – dell'esistenza del più piccolo elemento in cui la materia è scomponibile (dall'iniziale tripartizione subatomica in protoni, neutroni ed elettroni, fino al neutrino, al quark e più recentemente al famigerato bosone di Higgs, definito – almeno per il momento e magari fino alla prossima ulteriore scomposizione dello stesso – la particella di Dio...).
Anche la psicoanalisi, al pari delle altre scienze dell'uomo (anzi di più, poiché in realtà lo statuto scientifico non le è mai stato riconosciuto, trattandosi di una scienza indimostrabile – dogmatico ossimoro – oltre che di un mestiere impossibile, come scriveva lo stesso Freud), con i suoi presupposti pulsionali e le sue formule di riferimento, vive di quella sostanziale parzialità che è il risultato del necessario restringimento del campo di osservazione, tipico di ogni approccio conoscitivo alla realtà, quindi di ogni teoria. Dimenticare questa precondizione significa attribuire ad una teoria (che sia più o meno condivisa e/o condivisibile), cioè ad un modo di guardare il mondo, una indebita preminenza su tutte le altre, confidando in una pseudo-obiettività fondata su pretese onnicomprensive e di universale potere terapeutico.
Psicoanalisi quindi non come sistema di osservazione esterno, distaccato ed idealmente oggettivo – fa un po' tenerezza oggi pensare all'immagine dell'analista come 'specchio riflettente' e sedicente 'neutrale' che andava così di moda fino a qualche decennio fa – ma pratica e processo eminentemente duale (o diremmo meglio 'plurale' vista la molteplicità delle nostre sub-identità costitutive) che permette al soggetto di osservare se stesso attraverso il diverso punto di vista di uno specifico altro, il terapeuta, il cui sguardo è a sua volta sensibilmente diverso da quello di ogni altro terapeuta (una analisi, lo sappiamo, non è mai simile ad un'altra). Psicoanalisi tuttavia anche come 'punto di fissaggio' virtuale che consente di osservare i fenomeni in base ad un artificio-stratagemma (l'invenzione freudiana del 'setting') e della creazione di 'segni' (come il disegno finale tracciato dal moto del pendolo sulla sabbia), che pur rimanendo espressioni di una dinamica interiore svolgentesi nel mondo soggettivo, vengono tuttavia idealmente proiettati in una dimensione oggettiva di condivisione che li rende così meglio internamente esperibili e comunicabili all'esterno.
 E forse è proprio la maggiore consapevolezza di questa precarietà costitutiva, di questo vulnus strutturale dell'intero edificio culturale psicoanalitico, che lo rende sostanzialmente diverso dalle scienze ufficiali e che impone ad esso un costante lavorio di assestamento e rifacimento, che tuttavia consente anche la sua costante rigenerazione e la possibilità di continuare a creare nuovi spazi di pensabilità per l'uomo post moderno.