sabato 28 marzo 2020

Alterità virale

«[…] Al Governo rincresce di essere stato costretto a esercitare energicamente quello che considera suo diritto e suo dovere, proteggere con tutti i mezzi la popolazione nella crisi che stiamo attraversando, quando sembra si verifichi qualcosa di simile a una violenta epidemia […] e desidererebbe poter contare sul senso civico e la collaborazione di tutti i cittadini per bloccare il propagarsi del contagio.[...] Il Governo è perfettamente consapevole delle proprie responsabilità e si aspetta da coloro ai quali questo messaggio è rivolto che assumano anch’essi, da cittadini rispettosi quali devono essere, le loro responsabilità, pensando anche che l’isolamento in cui ora si trovano rappresenterà, al di là di qualsiasi altra considerazione personale, un atto di solidarietà verso il resto della comunità nazionale, etc..».
In questi giorni quante volte abbiamo ascoltato dalla tv parole simili, stretti dalla morsa del virus nell’isolamento forzato. Eppure non sono quelle pronunciate da esponenti della politica. Alcuni invece avranno riconosciuto passi del romanzo Cecità di J.Saramago(1), dove in una anonima cittadina esplode all’improvviso un’epidemia che rende cieche le persone, che costringe tutti ad una drastico cambiamento dei propri modi di vita e dei rapporti sociali e che fa riflettere sulla natura dei rapporti umani nei momenti più critici, sulle paure della psiche individuale e del corpo sociale prodotte da un evento catastrofico, sulle dinamiche di potere e di sopraffazione che si generano in simili scenari.
Senza scomodare la biopolitica di foucaltiana memoria(2), è infatti sotto gli occhi di tutti come il legame tra politica e medicina sia divenuto un aspetto centrale nella società contemporanea. L’emergenza provocata dall’epidemia virale Covid19 ha di conseguenza attivato un’emergenza politica tesa alla cura e salvaguardia della salute dei cittadini, poiché l’assunto è che lo Stato abbia un potere assoluto sulla loro vita biologica. E’ quindi facilmente comprensibile come una tale facoltà dei poteri centrali, supportata da regime militare e regime sanitario, potrebbe costituire per le società del futuro una grande minaccia ai diritti sociali ed alle libertà individuali. Ma a quale ‘altra’ cecità il suddetto romanzo starebbe accennando? Certamente, le chiavi di lettura possono essere molteplici e riferite ad aspetti diversi della nostra realtà che – per rimanere nella metafora letteraria – non riusciamo più a vedere: l’indifferenza verso il nostro prossimo, l’attuale modo di vivere individuale e collettivo, sempre più atomizzato e orientato alla mercificazione ed al consumo bulimico delle relazioni, la crescente perdita di riferimenti e valori, la negazione dell’idea stessa di un limite naturale delle cose, di fronte al ‘no-limits’ del trionfo ipertecnologico, che si sublima nella negazione della morte quale limite all’esperienza umana. Nella nostra società dell’immagine, dove tutto è sottoposto al maquillage dei trattamenti estetici correttivi alla ricerca del benessere psicofisico, sembra dover essere necessario vedere file di camion che trasportano nei crematori centinaia di morti ad opera del virus per ricordarci, come un pugno in pieno viso, che la morte esiste ed è lì, dietro l’angolo. E così, avendo subito nella nostra cultura una sistematica rimozione, la morte torna nelle vesti dell’Altro a reclamare l’attenzione che – ‘naturalmente’ – le spetta. Il Tragico fa irruzione sulla scena e impone la sua legge. E’ come se una certa visione di mondo, con le sue forme stabilite ed i suoi ritmi cui eravamo assuefatti, fosse stata risucchiata dal buco nero della pandemia e dalla emergenza, che detta ora modi e tempi del vivere quotidiano. Esplode così nelle strade e nelle case con l’evidenza di una realtà aliena e frantuma all’improvviso le nostre pseudo-certezze, le nostre abitudini, il nostro modo consueto di vedere le cose. E il virus stesso sembra beffardamente incarnare la metafora della crescente scotomizzazione della nostra alterità laddove ci vediamo costretti ad evitare gli altri esseri umani, a non avere alcun contatto ravvicinato con loro, ad avere paura del nostro prossimo se lo incrociamo camminando, poiché potrebbe rivelarsi un veicolo di contagio. Un evidente squilibrio dunque sembra governare la Weltanshauung dell’uomo contemporaneo, dove tutto è Io/Ego e non c’è più spazio per l’Altro. Anticamente, l’uomo riusciva a stabilire un dialogo con l’alterità grazie a un rapporto diretto con gli elementi della Natura, quindi attraverso gli Dei, poi con le religioni monoteiste. Il progressivo ritiro delle sue proiezioni psichiche, frutto della civiltà e della cultura, gli ha però lasciato un mondo disabitato di senso e disanimato di emozioni, se non quelle estreme e solipsistiche, ricercate forse nel tentativo di sentirsi ancora esistere, in un mondo che abbiamo riempito con scintillanti quanto superflui oggetti di consumo usa e getta che ci soffocano in solitudini preconfezionate. Oggi parlare del freudiano ‘disagio della civiltà’ si tradurrebbe nell’ostracismo riservato alla dimensione inconscia della psiche, invasa e sostituita da pratiche correttive, riabilitazioni riadattative, procedure di rinforzo e supporti terapeutici a quell’Io sempre più sprofondato in sé stesso e che avrebbe invece solo bisogno del dialogo trasformativo con l’Altro. Un Ego sempre più cieco ed ipertrofico ha infatti assunto la posizione di assoluto comando nella stanza dei bottoni del nostro mondo tecnologizzato. C’è voluto il pericolo mortale del virus per farci riscoprire il valore, l’importanza ed il senso di una comunità, per essere altruisti, generosi fino all’autosacrificio, con chi soffre, con chi muore, per ridestarci dalle nostre fobie, o semplicemente dal torpore, dall’indifferenza. In una parola per riscoprirci propriamente ‘umani’. ‘Andrà tutto bene’, ci diciamo, ma facciamo che questa immane tragedia oggi non ci renda di nuovo ciechi domani.



Note
(1) - Cecità (1995), José Saramago, Ed.Einaudi.
(2) - La volontà di sapere (1978), Michel Foucault, Ed.Feltrinelli. Per Foucault la biopolitica riassume le pratiche con le quali il potere di Stato gestisce il corpo dei cittadini, area d'incontro tra potere politico e sfera della vita (biopotere).












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