lunedì 13 febbraio 2012

In viaggio


L'idea della finitudine dell'essere umano e il suo perenne confronto con la propria alterità costitutiva, sono stati espressi ab origine in ogni cultura attraverso innumerevoli forme di rappresentazione simbolica. Queste hanno dato luogo nel tempo alle grandi narrazioni mitologiche, poi religiose e infine a specifici temi letterari, di cui troviamo nel tempo una traccia ininterrotta attraverso la metafora del viaggio.
Il motivo del viaggio nell'Aldilà, per esempio, nel mondo classico è disseminato ovunque; basti pensare alle grandi narrazioni tramandateci dai miti greci e latini, che sovente prevedono una 'discesa agli inferi' (la nekia, dal greco νεκρός, 'morto'). Tra questi, solo per citarne alcuni più noti: Persefone rapita da Ade, l'omerica discesa agli inferi di Ulisse, poi di Enea che nel sonno Virgilio fa scivolare nell'Averno. Oppure, su un versante contiguo, troviamo narrazioni che si sviluppano sul tema del viaggio iniziatico, come le fatiche di Ercole, gli Argonauti alla conquista del vello d'oro, l'Odissea, etc... Mentre in altre il viaggio è più palesemente associato alla tematica del confronto con l'alterità, come in Teseo e Arianna nel labirinto del Minotauro, nelle Metamorfosi di Apuleio, etc... In seguito, le religioni monoteistiche si appropriano di tali nuclei narrativi, spesso riadattandoli e talora trasformandoli in base ad una visione escatologica: essi parlano così di un luogo infero - lo sheol ebraico e l'infernus cristiano - dove risiede il principio del Male e in cui si scontano i peccati dell'esistenza (nei Vangeli Gesù parla di questo luogo associandolo al 'fuoco eterno'). Anche in questo contesto religioso poi, innumerevoli sono i riferimenti a viaggi iniziatici (tra tutti la Commedia dantesca), così come nella letteratura posteriore (dal Don Chisciotte al Pinocchio collodiano fino, se vogliamo, ai viaggi di Chatwin).
Ma una immagine che, per estrema semplicità e forte suggestione, concentra e racchiude l'idea stessa del viaggio metafisico è quella del Tuffatore di Paestum, ritratto in uno dei pannelli murari facenti parte dell'arredo funerario di una tomba (definita appunto 'del tuffatore') di artista sconosciuto databile intorno al 480 a.C..
La scena, altamente evocativa e simbolica, ritrae un corpo maschile visto di profilo fissato nel momento del tuffo da un'alta piattaforma, verso il basso dove scorre quella che sembra una lingua di mare ceruleo. Anche di quel momento così grave come può essere il trapasso, l'antico genio greco-italico ci ha dato una rappresentazione eccezionalmente dinamica ed atletica, che volge in gesto esteticamente perfetto e compiuto nel suo mantenersi sospeso tra aria ed acqua, quasi a voler sottrarre la scena all'elemento terra, mortale e quotidiano, espresso solo dal richiamo pittorico di un esile albero laterale. E' il biancore accecante, infatti, che riempie la scena acromatica su cui spicca l'agile figuretta bruna, mentre in basso un accenno azzurrognolo appena increspato rimanda all'elemento acqueo dei flutti, la dimensione altra che il tuffatore si appresta a penetrare.
Il tuffatore ci insegna la pacata determinazione del momento supremo, nel suo distacco dal già noto per inoltrarsi nel mistero, nell'oltremondo, nell'alterità. Il tutto con un gesto di stile e di complessione plastica perfetta, che l'immagine del corpo in volo rivela nella sua lineare essenzialità. E' come se, nella sua agile sospensione sull'infinito, egli tenesse insieme le due dimensioni e ne garantisse la continuità, come medium tra opposti, vita e morte. Simbolo dunque, nella piena accezione del termine (dal greco symballein, che sta per legare, collegare, mettere insieme) che allude ad una verità non altrimenti dicibile.
Proprio in quanto simbolica di un movimento da un qui verso l'ignoto infinito, la scena si presta a sostenere una rappresentazione parimenti drammatica, se non tragica, come potrebbe essere quella di un 'trapasso' della coscienza, di un tuffo nell'Altrove, o anche se vogliamo nell'alterità dell'inconscio (e qui l'elemento liquido ne ribadisce la sua natura mobile e avvolgente) che, dopo Freud, per le nostre società secolarizzate e desacralizzate, diviene il ricettacolo 'laico' di tutto ciò che pertiene all'antico Aldilà.
Proprio la psicoanalisi, in particolare, in quanto esperienza interiore di una modalità nuova e diversa di osservare il proprio percorso esistenziale, si presta a metafore e luoghi simbolici che hanno a che fare con l'idea del viaggio, in special modo – come si osserva nei sogni – del viaggio per mare, data la vastità dell'elemento acqueo, o in terre lontane e sconosciute. Se un tempo si ricorreva dunque ad espedienti narrativi quali il viaggio iniziatico o le discese agli inferi, in cui la dimensione immaginifica era centrale e propulsiva, oggi la metafora centrale di una fuoriuscita dal mondo e dalle realtà del quotidiano per inoltrarsi nel grande mistero della vita si è a tal punto impoverita e progressivamente ristretta ad un più prossimo e prosaico 'al-di-qua', in uno 'sballo' parossistico, in un 'trip' ripetuto e monotono, sorretto da sostanze chimiche in cui è soprattutto la fisiologia del cervello e delle sue sinapsi ad essere interrogata e fatta oggetto di speculazione scientifica.
La rappresentazione artistica e drammatizzata di un vissuto collettivo fondamentale, come quello inerente la tematica antropologica centrale del rapporto vita-morte, sembra aver perduto il suo substrato immaginativo e si è talmente 'ospedalizzata' – cioè rinchiusa in un ambito asettico e senza contatti con le altre dimensioni del vivere – da diventare una mera registrazione di flussi, di concentrazioni di liquidi organici in determinate regioni cerebrali, di osservazione clinica di diagrammi e parametri standardizzati di funzionamento corporeo.
Questo svuotamento del nostro mondo interiore in nome della scienza e di una visione sempre più tecnologizzata dell'esperienza umana, che ci lascia orfani delle potenzialità creative e immaginative nell'affrontare le contingenze quotidiane come le problematiche di fondo del vivere, ci rende sicuramente più adattati al mondo moderno e alle sue richieste, ma anche più fragili e infinitamente più insicuri nella nostra attuale mancanza di più autentiche trame di senso in cui inserire le nostre esistenze (sarà anche per questo che oggi i social networks così come i giochi di ruolo sul web hanno una tale fortuna?)
Osservando la complessità della nostra mente, arriviamo prima o poi a convincerci che esistono due distinti livelli di funzionamento mentale, che Freud definì in termini di cosciente e inconscio. Se il primo riflette la nostra costruzione razionale del mondo, in cui possiamo accedere ad una conoscenza codificata e sottoposta a principi formali condivisi, il secondo risiede invece nella dimensione psichica più profonda, dove avvengono fenomeni che non riusciamo a spiegare con la razionalità ma soltanto ad 'intuire' o a raffigurarci in qualche modo attraverso le nostre facoltà immaginative, oniriche ed artistiche.
In questa seconda dimensione, possiamo ipotizzare con W.R.Bion che risieda la possibilità di un diverso processo di conoscenza, che egli nomina con la lettera O, che non si basa sulle modalità abituali del pensiero in base allo schema soggetto-oggetto ma è approcciabile soltanto con un salto diretto 'dentro' tale dimensione (“Essere all'unisono con O”), quindi evitando il ricorso a schemi mentali preordinati e ponendosi di fronte all'ignoto. Ed è a questo livello che possono verificarsi le più profonde trasformazioni della psiche, quelle che inducono un cambiamento radicale che si riflette poi sull'intera personalità.
Questo salto, questo tuffo dentro il mistero dell'essere, questo viaggio verso l'ignoto, richiedono alla mente un atteggiamento fideistico (Bion parla appunto di 'fede in O'), un lasciarsi andare fiduciosi nel proprio intuito e nelle potenzialità del proprio inconscio, passo necessario affinchè si raggiunga una nuova consapevolezza che ci aiuti a vedere le cose in modo nuovo, senza i condizionamenti derivanti dal nostro passato e dalle nostre abitudini. E' allora che l'antica, agile figuretta dell'antico tuffatore che plana sui flutti sottostanti torna a sembrarci come la migliore metafora – sia che la si intenda in senso escatologico come Aldilà, sia che la si consideri come la dimensione Altra rispetto alla nostra mente cosciente – dell'abbandono fiducioso ad una alterità che ci accoglie e ci trasforma rinnovandoci, al grande mistero di un Altrove che mettendoci in viaggio si fa meno distante.

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