lunedì 28 marzo 2011

La via del dubbio



"Che non men che saper dubbiar m'aggrada." 
(Dante, Divina Commedia, Inferno, XI, 93) 


 “Il dubbio è l'origine della saggezza”
(René Descartes, Meditationes de prima philosophia)


Il primo fu Cartesio (lui, proprio quello del 'cogito ergo sum'). Il suo 'dubbio metodologico' rappresentò uno spartiacque nella filosofia del XVII° secolo, inaugurando il sistema concettuale di riferimento per la ricerca scientifica propriamente detta, quella – per intenderci – basata sui famosi tentativi ed errori (od 'orrori', in alcuni casi...ma si sa, la ricerca della Verità, come quella del Sacro Graal, non ammette debolezze o stomaci delicati).
In realtà, già quegli antichi greci che la storia ci ricorda come 'scettici', avevano abbracciato una posizione filosofica – appunto – 'scettica' un po' su tutto. Tanto per dire, essi si chiedevano cose del tipo: “posso realmente conoscere qualcosa per come essa è veramente?” - oppure - “le mie percezioni e sensazioni rispetto alle cose del mondo sono ad esse realmente corrispondenti ed adeguate o magari dipendono da fattori soggettivi che tradiscono le qualità proprie di quelle stesse cose?”. Alla fine, però, le loro risposte erano immancabilmente negative.
In altri termini, gli scettici erano tali rispetto alla possibilità stessa di avere una conoscenza veritiera della realtà e del mondo e il loro dubbio (filosofico) si estendeva non solo allo statuto delle cose ma finanche alla capacità dell'uomo di poter conoscere veramente qualcosa nella sua interezza.
Ma, tornando a noi, cioè a Cartesio, il suo dubbio (metodologico) differisce da quello degli scettici, perchè esso presuppone che invece una possibilità di conoscenza reale delle cose vi sia, che quindi il dubbio sia soltanto lo strumento che consente di superare l'ignoranza (nel senso, ovviamente, di ignorare..), e per mezzo della prova dei fatti di giungere infine alla verità indubitabile. Qui il dubbio, appunto, si fa metodo, pratica fondata sul fondata sulla verifica del contenuto delle affermazioni: siamo cioè alla esposizione filosofica di quel metodo scientifico che già Bacone e Galileo vanno diffondendo in quegli stessi anni.
Ora, tralasciando se vi sia un'una ed unica verità indubitabile (o piuttosto molte e diverse a seconda dei differenti punti di vista), il 'metodo' cartesiano basato sul dubbio aprioristico è utile anche nella stanza di analisi poiché inquadra la relazione terapeuta-paziente in una cornice di senso basata essenzialmente su 'fatti', che possono essere verificati e quindi considerati con una certa approssimazione concreti e reali (che poi siano anche 'veri', e quale sia lo statuto concettuale di tale verità, questo lo lasciamo alla disquisizione filosofica).
Contrariamente a quanto molti potrebbero pensare (detrattori e non dell'analisi, come anche della psicoterapia in genere), infatti, la psicoanalisi non consiste nell'andare a parlare semplicemente di 'problemi' propri (per usare un eufemismo!) con qualcuno, o a ribadire come il tal sintomo x ci rubi la pienezza del vivere, o a 'sfogarsi' rispetto a sentimenti compressi da una vita che non si riescono a evacuare altrimenti, o ancora a raccontare fantasie e sogni come un elenco delle stranezze che ci tocca subire da parte della nostra inaffidabile immaginazione. Questi elementi, pur sempre presenti in varia misura in terapia, rappresentano in realtà solo lo sfondo o il contesto relazionale di superficie entro cui si dinamicizza un processo ben più centrale e più propriamente terapeutico in quanto attivatore di modalità transferali tra passato e presente che possono essere osservate in seduta in tutta la loro vasta gamma ed estensione.
Ma, soprattutto, il paziente in analisi impara a dubitare, in modo potremmo dire sano e costruttivo, delle proprie idee e dei propri schemi di pensiero, finanche delle proprie sensazioni e percezioni che sorreggono il sistema centrato sul sintomo e le difese cristallizzate intorno ad esso, per consentire una apertura di senso che metta in discussione, o in crisi se vogliamo, la 'teoria' costruita da una vita intera e una certa visione del mondo, tutti quegli assunti, credenze e postulati di pseudo-verità che a volte ci ostiniamo a difendere nonostante i segnali provenienti da dentro e fuori di noi ci suggeriscano di cambiare poiché si avverte che si è giunti ad un punto di stallo del proprio percorso esistenziale. In tal senso il dubbio è un catalizzatore di cambiamenti a largo raggio, poiché consente per esempio di fluidificare quegli ingranaggi psicologici da troppo tempo cristallizzati attorno a figure, ruoli, doveri che non ci appartengono più ma che probabilmente continuiamo a mettere in scena quotidie per timore di non essere riconosciuti e accettati o di non riconoscerci noi stessi.
E se il primo dubbio il paziente lo sperimenta inizialmente rispetto ad una delle tante pseudo-verità del proprio mondo interno, cui poi nel procedere del percorso se ne aggiungeranno man mano altre, l'ultimo dubbio è rivolto al terapeuta, sul quale si sono concentrate nel tempo tutte le sue aspettative e proiezioni e bisogni transferali, che lo hanno fatto apparire onnipotente e onnisciente, il lacaniano 'soggetto supposto sapere' cui è destinata la domanda iniziale di qualsiasi psicoterapia (per cui egli dovrebbe sapere del paziente e del suo sintomo ciò che il paziente stesso non sa, quindi -miracolosamente- 'guarirlo'...).
La vera cura della terapia è dunque contenuta nell'azione del seguente paradosso. Che il paziente viene inizialmente in seduta per acquisire maggiori sicurezze e certezze rispetto alla sua vecchia 'teoria' preferita, cioè a come dovrebbe essere la sua vita, quindi a 'fortificarsi' rispetto alle paure antiche, alla sfiducia di sé, al timore degli altri, cercando di ricostruire con l'aiuto del terapeuta (il 'supposto sapere'... come si faccia!) un mitico, precedente stato di potenza e benessere ormai perduti o mai raggiunti (per effetto del 'sintomo'), quindi con il solito meccanismo di delega che tende a riproporre lo schema infantile bambino-adulto del dammi, fammi, insegnami, etc... Mentre si rende ben presto conto che tutto il percorso terapeutico passa invece attraverso il dubbio, metodologico, sistematico, su se stessi, su chi si è e chi si vuole essere, su ciò che si dice e ciò che si pensa, su quello scarto tra sé e sé che le nostre vecchie teorie preferite (siamo dei 'teorici' fin dall'infanzia!) tendono ad occultare e rimuovere in modo altrettanto sistematico e metodologico. In tal modo l'esercizio del dubbio può stimolare un pensiero nuovo, un cambiamento del sé, piuttosto che le stanche ripetizioni a memoria su quanto crediamo di sapere su noi stessi e sugli altri.
Per questo, con Cartesio, potremo dire che il dubbio, e non la certezza dogmatica o una qualche verità rivelata, è l'origine della saggezza e, spingendoci oltre, arrivare ad affermare, tra il serio e il faceto: “Dubito, ergo sum”.

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