mercoledì 24 settembre 2008

Il potere dell'immaginazione (1a parte)




Il titolo riecheggia un famoso slogan in auge qualche decennio fa, quando per le strade del mondo camminavano ‘i figli dei fiori’ e l’immaginazione era (o meglio ‘si voleva’, con quel misto di idealità ed ingenuità tipica dei giovani) al potere, spesso ricorrendo all’utilizzo di droghe ‘psichedeliche’, che avevano cioè lo scopo di ‘aprire’ le porte della percezione verso nuovi orizzonti di senso e di pienezza dell’essere. Oggi, agli albori del nuovo millennio, sembra che il ‘flowers power’ sia solo un pallido ricordo, associato dalle giovani generazioni all’icona di mitici eroi di un mondo scomparso e a pochi irriducibili nostalgici, irrimediabilmente fatto fuori dalle logiche predatorie del mercato globale e delle onnipotenti multinazionali. William Blake, che potremmo considerare un antesignano e ‘presidente ad honorem’ del movimento hippy, già un secolo e mezzo prima scriveva che l’immaginazione era la capacità di vedere ‘attraverso gli occhi, non con essi’; ciò che suggerisce l’idea di un necessario e volontario accecamento e di una inibizione della percezione diretta per poter raggiungere la dimensione ‘immaginante’ della mente…

..Ancora più indietro, nei trattati alchemici, “l’imaginatio” era invocata come atto di meditazione localizzato nel cuore (concepito questo come la sede dell’anima), che è anche una ‘chiave’ che apre la porta al segreto dell’Opus (1). Etimologicamente, la parola ‘immagine’ sembra derivare dalla parola ‘mag’, termine associato ad una condizione della mente che riflette uno stato di particolare ‘vibrazione’ della materia, che consentirebbe pertanto l’attrazione di forze divine’ (2).
Anche C.G.Jung, noto psicoanalista zurighese dello scorso secolo, si è interessato molto all'immaginazione. Già in 'Tipi psicologici' (1921) Jung considera la fantasia come il tertium quid in grado di mediare concetti contraddittori e conciliare punti antinomici. Egli mette in rilievo due caratteristiche della fantasia: la sua autonomia e il suo carattere creativo; l'autonomia ha origine nell'essere la madre di tutte le possibilità, mentre la creatività è connessa al ruolo che essa ha nella formazione dei simboli (3).
La fantasia viene poi distinta in volontaria, attiva, passiva; nella prima vi sarebbe un miscuglio di elementi consci mentre nelle altre due forme, che accentrano l'interesse dell'A., si osserverebbe l'irruzione di materiale inconscio nella coscienza. In sostanza, il modo in cui tale irruzione è trattata dal soggetto determinerà se la fantasia sarà attiva o passiva (invece di lasciarci invadere dai contenuti inconsci possiamo cioè tentare di modificare il corso dell'esperienza in atto, diventando agenti della fantasia piuttosto che semplici spettatori).
Sotto l'influsso della distinzione alchimistica tra 'phantasia' e 'imaginatio', Jung cominciò in seguito a delimitare il termine 'fantasia' ad una mera funzione soggettiva della mente che non andrebbe oltre una tendenza all'invenzione cosciente. Al contrario, egli riservò all'immaginazione la capacità di produrre creativamente immagini dotate di una loro vita propria attraverso una profonda dinamica simbolica e dotata di una sua propria stringente logica. L'immaginante diventa così il 'drammaturgo' (e, potremmo aggiungere, il 'demiurgo') delle proprie creazioni psichiche: "Se non si è compiuta questa operazione cruciale - egli scrive riferendosi a tale azione 'creativa' del soggetto - tutti i cambiamenti sono lasciati al flusso delle immagini e noi stessi rimaniamo immutati" (4).
Ma, avverte Jung, bisogna stare attenti a 'non concretizzare eccessivamente' le nostre fantasie e le immagini mentali, poichè questo contenuto drammatizzato diventa forza viva e può influenzare lo stesso immaginante, col rischio di una inflazione psichica. A differenza di quel che accade nella fantasia passiva allucinatoria o nella percezione sensoriale, il carattere di realtà qui non è dato da una pienezza traboccante o da una presenza esterna quasi palpabile. Nell'immaginazione attiva abbiamo piuttosto a che fare con una 'realtà psichica', poichè il reale 'è ciò che lavora', quindi ciò che ha effetto sulla psiche e che la modifica in qualche modo essenziale. Da questo punto di vista è necessaria l'immaginazione attiva per convertire ciò che è puramente possibile, meramente fantastico o contemplato esteticamente, in ciò che è 'chimicamente' reale: l'immaginare attivo investe la fantasia con un elemento di realtà che le attribuisce maggior peso e maggior potere di guida.
(1/ continua...)




(1) L’Opera Alchemica, intesa come processo di trasmutazione interiore dell’individuo e di liberazione di energie creative e di piena realizzazione del Sé.
(2) Si vedano in proposito i riferimenti alla 'mageia' quale 'arte di manipolazione del divenire' di derivazione zoroastriana.
(3) E.S.Casey, 'L'Immaginale', articolo per la rivista di Psicologia Archetipica , IV/ 1984.
(4) C.G.Jung, Opere, vol XIV, Boringhieri.

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